C’era una volta la Roma del samba. Ora a Trigoria, e attualmente a Burton, si balla la milonga, il tango e per tutti una musica nuova, molto gasperiniana: Wesley ha gli occhi vispi, i denti accesi, la saudade non è invasiva. Ha la faccia del bravo ragazzo, molto onesto. Sì, anche ambizioso. Non viene dalle favelas, ma conosce la parola umiltà. E Dio, che — per lui — move il sole e l’altre stelle. Come l’amore. E ce ne vorrà tanto per sfondare anche in Italia, per alzare il livello. Nella Roma. Con Gasp, che lo ha cercato, voluto e strappato alla concorrenza.
Wesley, come sta andando?
«Bene, grazie. Sono molto felice dell’accoglienza, concentrato sul lavoro. Cerco di adattarmi il prima possibile. Lo confesso: in questi primi giorni è complicato, ma sono felice».
Chi le ha regalato il primo pallone?
«Mia madre mi racconta che da piccolo il mio giocattolo preferito era una palla, la creava mio padre perché non avevamo i mezzi per comprarne una. Con quella palla trascorrevo tutto il tempo, a casa, per strada: il calcio è una passione con cui sono nato».
È stata una vita difficile vostra?
«Non paragonabile a quella di altri brasiliani, nati in altri posti. I miei genitori hanno fatto sempre di tutto per me, per mia sorella. Non ci è mai mancato il cibo, e ancora oggi nel mio paese c’è tanta gente che soffre per la fame. Sono cresciuto avendo sempre il sorriso sul viso».
Quindi ha ragione Gasperini: i calciatori devono sorridere, proprio come i brasiliani.
«Sì, come Neymar, Rodrygo. I miei allenatori mi hanno sempre chiesto di andare in campo con allegria. In particolare, Filipe Luis al Flamengo. Hanno notato che quando giocavo in maniera meno rilassata, rendevo meno. Se anche Gasperini la pensa così, mi fa piacere».
Durante il Covid, senza calcio, ha pensato di smettere e ha scelto di fare il parcheggiatore. Si denota una certa sensibilità da parte sua, un risveglio dell’umiltà.
«Non credo sia una questione di sensibilità. Erano delle circostanze del momento, le cose non andavano bene da un punto di vista calcistico, avevo già 15-16 anni, temevo di non potercela fare. Così mi sono interrogato su come poter aiutare la famiglia, e ho deciso di dare una mano al ristorante, poi le cose sono andate come sappiamo. E ho ripreso».
Se non avesse giocato a calcio, quale sarebbe stato il suo destino?
«Non avevo trovato altre opzioni. E l’ho preso come un segno del destino: Dio voleva che io giocassi al calcio, da quando ero piccolo».
La Roma ha avuto una lunga tradizione di calciatori brasiliani. Oggi qui è l’unico, in mezzo a tanti argentini. Un problema?
«Infatti quando sono partito ho pensato “sarò l’unico lì”, invece mi hanno accolto benissimo Dybala, Soulé, tutti mi hanno fatto sentire subito parte di questo gruppo. E a volte mi dimentico di essere l’unico brasiliano. Oggi sono molto felice e orgoglioso di vestire la maglia che è stata di grandi calciatori miei connazionali».
Cafu è uno di questi: quando lei nasceva, lui aveva appena lasciato la Roma.
«È un riferimento per chiunque ricopra quel ruolo, quindi anche per me è un modello. Mi è stato detto che ricordo Cafu per come gioco, ed è un onore essere accostato a lui o avere delle caratteristiche simili. Un giorno spero di poterlo incontrare».
Gasperini è stato decisivo nella trattativa tra Roma e il Flamengo?
«Con lui parlai già lo scorso anno quando sfiorai l’Atalanta. Lo sanno tutti, ero già con le valige in mano. Ma Dio ha un copione in mente ed evidentemente era scritto così, che dovessi venire a Roma. Gasperini mi ha chiamato, mi ha detto che ero un pezzo importante per lui. Nessun altro club ha fatto questo per me, nessuno è arrivato a tanto. Nessun allenatore mi ha motivato come lui. C’erano altre squadre su di me, ma io non potevo non scegliere la Roma».
Che cosa le sta chiedendo in particolare l’allenatore?
«Lui conosceva le mie qualità, i miei difetti. Magari che in difesa devo essere più solido, più determinato».
Di solito Gasp utilizza terzini più strutturati fisicamente.
«Ma io sono un instancabile. Cerco sempre lo spunto, un cross, un tiro, un appoggio per i compagni, rubare un pallone, quello che ho sempre fatto in Brasile mi piacerebbe farlo anche a Roma».
Come mai vuole proprio l’Europa League?
«Quando indossi questa maglia pensi di poter vincere qualcosa, questi colori non si indossano tanto per… E Gasperini non lo accetterebbe».
Da Gasp ad Ancelotti, ct del Brasile: resterà in buone mani.
«Ancelotti lo conoscono tutti, è un grande allenatore. Ho lavorato con lui in allenamento, ma non ho ancora giocato. Credo che essere alla Roma non possa che aiutarmi in chiave nazionale, sogno di poter giocare un mondiale e aiutare la Seleçao».
Le prime differenze tra il calcio brasiliano e quello europeo/italiano?
«I brasiliani che sono stati in Europa ripetono sempre che qui il livello è più alto, anche di serietà. Non che in Brasile non si giochi con serietà, ma è proprio un modo diverso, più spensierato, leggero. Danilo, Jorginho ed Emerson mi hanno detto la mia vita cambierà subito. Per me conta diventare un giocatore migliore».
E’ un po’ spaventato da questo salto triplo di livello?
«No no, è proprio quello che volevo. Non vedevo l’ora di arrivare. Lo rifarei cento volte».
Lei è molto religioso e Roma è la città del Papa. Come la mettiamo?
«A casa siamo tutti molto credenti, io penso ci sia qualcuno che dall’alto ci aiuti. Essere nella città del Papa, a Roma che è bellissima, è senza dubbio un motivo in più di felicità. Sarebbe bello, ovviamente, conoscere il Santo Padre, guardarlo da vicino. E sarebbe bello anche scoprire meglio la città, voglio mostrarla a mia figlia, raccontarla alla famiglia, a tutti».
Lei si è sposato molto presto, come mai?
«Essere single e giocare a calcio non faceva per me. Ho sempre voluto una famiglia tutta mia, era giusto per me e per la mia carriera».
Sua moglie e sua figlia sono a Roma?
«Sì, in questo momento vivono in hotel, ma abbiamo già preso casa, tra una decina di giorni ci trasferiamo. Sono tutti molto felici. I miei genitori, invece, sono rimasti in Brasile, vivremo la vita qui solo noi tre: sarà anche questo un momento di crescita per il nostro matrimonio e la maturazione come coppia».
Come mai si è tinto i capelli di giallo?
«Ogni volta che succede qualcosa nella mia vita di positivo, allora faccio un gesto per cambiare. È il motivo per cui gioco con una manica lunga su un braccio e con l’altro scoperto. Ed è andata così anche per la scelta del colore dei capelli: era un momento in cui non stavo giocando particolarmente bene, così ho cambiato look, è stato come girare la chiave, un click. E continuerò con questo comportamento. A meno che il Gasperini non me lo vieti».
I Friedkin hanno investito molto su di lei, è tra i terzini più pagati della storia della Roma.
«È frutto del mio lavoro. E’ motivo di orgoglio e una grande responsabilità. Sono consapevole che devo rendere al meglio, mi auguro che in futuro quando partirò costerò di più di quanto sono stato pagato».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Leave feedback about this