23.05.2025
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Politics

voto urgente, lo dice il Colle


È un’operazione a rischio. Con possibili colpi di scena dietro l’angolo. Giorgia Meloni riuscirà a far eleggere il “suo” giudice alla Corte Costituzionale? È il giorno della verità per una battaglia che la premier ha molto a cuore. Appuntamento a Montecitorio alle 12.30, deputati e senatori riuniti. Il nome in ballo: Francesco Saverio Marini, costituzionalista, consigliere giuridico a Palazzo Chigi, tutore della riforma del premierato carissima a “Giorgia” e a Fratelli d’Italia.

LE INSIDIE

Sembrava fatta, o così credeva il centrodestra fino a pochi giorni fa, quando un messaggino perentorio ha ordinato agli onorevoli di FdI, ma anche di Forza Italia, di presentarsi in massa stamattina alla Camera: niente scuse. Poi i giochi si sono complicati. E non è un caso se ieri a tarda sera in una nota congiunta i capigruppo di FdI Tommaso Foti e Lucio Malan sono arrivati a chiamare in causa il Quirinale chiedendo «a tutti di dare seguito domani all’esortazione del Presidente della Repubblica» ed eleggere il quindicesimo giudice della Corte, «un’elezione tanto più urgente solo che si pensi che altri tre giudici di dicembre saranno in scadenza a dicembre, con il rischio di una Consulta composta solo da 11 membri effettivi».

Non sarà semplice. Le opposizioni una volta tanto hanno serrato i ranghi: resteranno sull’Aventino, niente voto nell’emiciclo di Montecitorio. È la linea dettata dalla segretaria del Pd Elly Schlein. Seguita, con più o meno entusiasmo, dal resto del campo progressista. Niente voto per i Cinque Stelle, assai combattuti fino all’ultimo — c’entra la trattativa per la Rai che ora apre spazi a Giuseppe Conte con l’uscita del direttore Mario Orfeo dal Tg3 — e così faranno nell’ordine Italia Viva, Avs, Azione.

Un contatto al telefono tra Conte e Schlein, ieri pomeriggio, ha sigillato l’intesa: nessuno entri. Lo farà invece Pier Ferdinando Casini: «Votare per il completamento della Corte costituzionale è istituzionalmente doveroso» ha fatto sapere l’ex presidente della Camera. La conta del centrodestra resta in bilico.

Già perché a Meloni servono i tre quinti dei voti: 363. E questa mattina il pallottoliere parte sotto: 360. Ne mancano tre, sulla carta. Perché i conti tornino nessun deputato e senatore della maggioranza deve dare forfait. Un treno perso, una nottataccia influenzale rischiano di rovinare la festa e rinviare un’elezione attesa da dieci mesi, dal novembre 2023, quando ha lasciato il suo seggio l’ex presidente della Consulta Silvana Sciarra. Defezioni non ammesse. Sarà per questo che ai partiti della maggioranza è arrivato un ordine di scuderia: ognuno scriverà il nome Marini in modo diverso. Marini Francesco, Francesco Marini, Marini e nient’altro.

Blindarsi, scovare eventuali franchi tiratori: il clima è questo. Meloni non si fida, è andata su tutte le furie quando il messaggio di convocazione dei parlamentari è trapelato sulla stampa, arrivando a minacciare in una chat con i suoi, rivelata dal Fatto Quotidiano, di «mollare» per «l’infamia di pochi». A cui è seguita una frenetica caccia alla “talpa” che parla ai giornalisti. Ieri a tarda sera si faceva spazio un piano B a Palazzo Chigi: far saltare il voto, rinviare un’altra volta. Pur di non “bruciare” il nome di Marini. Ma torniamo ai conti. Sono 357 gli eletti del centrodestra, sei in meno di quelli che servono per lanciare Marini alla Corte. Tuttavia quella cifra va rivista.

I ministri Antonio Tajani e Raffaele Fitto ad esempio, entrambi deputati, non potranno inserire la scheda nel catafalco. Sono all’estero, il primo in missione in Argentina, il secondo a Bruxelles alle prese con il primo test da commissario al Parlamento europeo. Anche Meloni è deputata ed è difficile immaginare un premier apporre una x nell’aula di Montecitorio per scegliere un giudice della Consulta. Con le opposizioni verso un Aventino compatto, è nel Gruppo Misto che bisogna cercare la spalla decisiva all’operazione-Marini.

I NUMERI

Due sì arriveranno dal leader Udc Lorenzo Cesa e Antonino Minardo. Altri tre dai nuovi acquisti di Noi Moderati di Maurizio Lupi, a cui la premier ha affidato un’operazione di scouting, nelle scorse settimane, proprio con lo sguardo rivolto alla partita della Consulta. Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Giusy Versace, entrati nel suo partito con l’addio ad Azione, puntellano lamaggioranza. Gli altri sono nomi scritti a matita. Andrea De Bertoldi, il primo fuoriuscito da FdI, è in cerca di un posto tra le fila forziste: potrebbe mai, ragionano i meloniani, non votare Marini alla Consulta?

Altri nomi nel mirino: Francesco Gallo di Sud Chiama Nord, l’autonomista valdostano Franco Manes, dalla Svp, che ha spesso puntellato la maggioranza, Meinhard Durwalder e del deputato Dieter Stegeer della Svp. Resta un voto sul filo. La posta in gioco è altissima. Mentre si apre la stagione dei referendum cavalcati dalle opposizioni, dall’autonomia alla cittadinanza, la destra può dire la sua sul più alto organo costituzionale del Paese che su quei referendum (e molto altro) dovrà decidere. Pensieri e parole che questa mattina lasceranno il passo alla fredda matematica.

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