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Von der Leyen, perché Meloni ha votato no? La telefonata con Tajani e lo strappo pensando a Trump


ll dado è tratto. In una notte Giorgia Meloni riscrive il suo cammino in Europa. Boccia la rielezione di Ursula von der Leyen e la coalizione di popolari, socialisti e liberali nella plancia di comando a Bruxelles. Tiene un canale aperto con la destra-destra dei Patrioti di Salvini, Le Pen e Orban, che da quella plancia era stata già esclusa. E prepara il terreno al ritorno, sempre più possibile, di Donald Trump alla Casa Bianca. È uno strappo che la premier rivendica apertamente. Nel pomeriggio, mentre “Ursula” alza i calici a Strasburgo, Meloni appare in video dal castello di Blenheim, la fortezza inglese cara a Churchill dove è riunita la Comunità politica europea.

LA RIVENDICAZIONE

Guarda in camera, i giornalisti restano fuori. «Fratelli d’Italia ha deciso di non votare per la rielezione di Ursula von der Leyen». Non lo ha fatto, mette in chiaro, perché non ha condiviso «il metodo e il merito» dietro il voto che ha consegnato un nuovo mandato alla popolare tedesca. A cui fa gli «auguri di buon lavoro», convinta di poter «collaborare» su materie come l’immigrazione. Dunque un appello finale, che suona tanto come un monito. Riprende Meloni: «Non ho ragione di ritenere che la nostra scelta possa in alcun modo compromettere il ruolo che verrà riconosciuto all’Italia nella Commissione europea».

Von der Leyen non votata da Fdi, Fitto può ancora diventare commissario? La trattativa sulle deleghe è tutta da rifare

È questo il primo pensiero della presidente del Consiglio nelle ore successive al colpo di scena all’Europarlamento. Meloni garantisce che non ci saranno ripercussioni sulla vera partita politica in Europa, la trattativa per comporre la prossima Commissione europea. Dopotutto, è il ragionamento, al Consiglio europeo l’Italia si è astenuta, non ha votato contro, e merita di diritto un posto al sole. «L’Italia è un Paese fondatore, la seconda manifattura, la terza economia d’Europa, con uno dei governi più solidi tra le grandi democrazie europee. Ed è sulla base di questo, e solo di questo, che si definisce il peso italiano», scandisce la leader dal vertice in Regno Unito. Il pensiero corre a Raffaele Fitto, ministro agli Affari europei, candidato unico del governo per vestire i panni del Commissario.

Ha le valigie pronte, vanta un ottimo rapporto con von der Leyen, punta a un portafoglio economico di prima fascia: tra le ipotesi circolate il Bilancio con le deleghe al Pnrr e ai fondi di Coesione. Il niet di Fratelli d’Italia e Meloni all’Ursula-bis farà ripartire la campagna di Macron, Scholz e dei maggiorenti europei per mettere i bastoni fra le ruote al governo italiano? È un timore confessato a mezza bocca nelle stanze di Palazzo Chigi. Anche se alla fine prevale un’altra convinzione. Von der leyen ha una maggioranza fragile: lo dimostra il voto sul filo e l’alto numero di franchi tiratori che hanno preso la mira ieri all’Europarlamento. Non può dunque permettersi — è il ragionamento — di tenere a distanza il governo italiano e la premier, in un consesso europeo pieno di leader azzoppati dalle urne. Certo il voto di ieri è una cesura, anche per i rapporti interni al centrodestra. Antonio Tajani, per dire, si è speso molto con i suoi Popolari per chiedere un’apertura ai Conservatori e puntellare a destra “Ursula”. La moral suasion si è fermata ieri mattina, quando Meloni lo ha avvisato della linea impartita ai suoi: «Votiamo contro».

Per motivi opposti, non fa i salti di gioia neanche Matteo Salvini, con cui la premier ha avuto un confronto martedì sera. Un voto a favore di Fratelli d’Italia ad Ursula avrebbe marcato le distanze con la Lega, schierata nettamente per il no insieme agli altri patrioti. «Con quale faccia si può votare von der Leyen?» provocava ancora alla vigilia il vicesegretario Andrea Crippa, fedelissimo del leader. Calando il sipario invece la premier ha scelto di coprirsi a destra, evitare accuse di doppiogiochismo dal rassemblement euroscettico in cui pure non ha voluto entrare.

Meritano una cronaca puntuale le lunghe ore che hanno infine spinto la presidente del Consiglio a rompere gli indugi. L’ultimo confronto con Ursula, al telefono, nel pomeriggio di mercoledì, tra il viaggio in Libia e la tappa ad Oxford al vertice europeo. Un dialogo franco, schietto come più non si potrebbe. Meloni spiega all’interlocutrice il vicolo stretto che deve attraversare: «Se apri ai Verdi e al Green deal, non possiamo votarti». E lei, la tedesca, capisce ma confessa a sua volta le sue ristrettezze: se non apre ai Verdi, non ha i numeri in aula per compensare i franchi tiratori. Ha già deciso, a questo punto, di virare a sinistra. L’impressione di entrambe, a telefonata finita, è che trovare un punto di incontro la mattina successiva sia un’impresa quasi impossibile. Meloni avvisa nella notte i colonnelli di FdI all’Eurocamera, Carlo Fidanza e Nicola Procaccini, oltre ovviamente al sempre presente Fitto. E loro di buon mattino riferiscono le direttive alla pattuglia in aula, lasciata all’oscuro fino all’ultimo.

LA SVOLTA

Il discorso di Ursula conferma i timori della vigilia. Lo ascolta in diretta dalla fortezza di Blenheim, Meloni, e scuote la testa di tanto in tanto, quando von der Leyen tesse le lodi della transizione ecologica in cerca dei voti Green. Commenta con i suoi consiglieri più fidati nelle chat whatsapp, dal sottosegretario-Richelieu Giovanbattista Fazzolari — da sempre favorevole al no — allo staff di Palazzo Chigi. E il refrain è lo stesso: così non va. Per tutto il giorno si rincorrono voci, anche dentro al partito, di un pacchetto di voti garantito in segreto alla premier ad Ursula, a dispetto delle dichiarazioni pubbliche. Ma sono solo voci, appunto, impossibili da dimostrare nel buio dell’urna.

Meloni resta convinta della sua scelta. Aveva fatto inviare via mail ai militanti di FdI un sondaggio che ha dato un responso chiaro, anche se con una maggioranza risicata: «No all’Ursula bis». La coerenza prima di tutto. Non ha dimenticato la premier le parole scandite dal palco di Pescara a fine aprile, dalla convention di FdI dove ha lanciato la sua candidatura europea: «Mai con la sinistra».

Coerenza utile a prepararsi per un evento che può riscrivere la mappa politica del mondo. Donald Trump tornerà alla Casa Bianca a novembre? È un’ipotesi che a Palazzo Chigi ritengono probabile, ora che Joe Biden vacilla e forse medita il passo indietro. Meloni lancia segnali — «non vi sfuggirà che i Repubblicani sono alleati dei Conservatori» — aveva fatto notare nella sua trasferta a Washington. Ecco, il no ad Ursula nell’Europarlamento può aiutare a spianare la strada. A facilitare un’intesa politica già avviata — a cui già lavorano da mesi i pontieri, sottotraccia — tra la leader dei Conservatori europei e il capo dei Repubblicani americani.

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