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Vinted è il nuovo fast fashion? Shopping compulsivo e rischio dipendenza. La psicologa: «Effetto dopamina»


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L’altro giorno ho adocchiato un pantalone perfetto per la primavera: tinte pastello e motivo floreale. Costo: 59.99 euro. Rapidamente ho valutato pro e contro: uso temporale limitato (non mi ci vedo a novembre con rose e foglie), occasioni d’uso ridotte (non è certo il solito jeans passepartout), costo altino per essere fast fashion, necessità di andare in negozio per provarlo. «Cercalo su Vinted», mi ha risposto rapida una mia amica, ripetendo un adagio molto di moda ultimamente. La borsa con le frange è tornata per la primavera? Cerchiamola su Vinted. Quell’abito che si è strappato scendendo dal motorino la scorsa estate? (Ri)cerchiamolo su Vinted (che magari lo troviamo pure a 10 euro quando in negozio lo avevamo pagato 45).

I vantaggi della — ormai popolarissima — app second hand, come sappiamo, sono molteplici: costo estremamente contenuto, acquisto facilissimo con un solo clic, spedizione rapida… ah no, per quella dovremo ancora aspettare. E poi, due illusioni che ci aiutano a ripulire la coscienza: acquistato un capo ne venderemo un altro, siamo bravi e puntiamo sulla sostenibilità. 

E’ vera sostenibilità?

Vinted, nato in Lituania nel 2008, secondo gli ultimi dati disponibili conta 108 milioni di utenti, di cui oltre 4 in Italia, ed è diventata la app più famosa per il second hand, scalzando il vecchio Depop e simili. Dietro c’è tutto un mondo: basta spulciare TikTok (dove i video a tema Vinted sono oltre un milione) per imbattersi in una miriade di consigli per comprare, per vendere e pure per sopravvivere a qualche truffa che, purtroppo, succede. «La nostra mission è dare agli abiti una vita più lunga possibile — ha dichiarato a Wired il ceo Adam Jay — Uno dei grandi problemi del fast fashion è proprio quello del breve utilizzo, che crea la sensazione che gli oggetti passino di moda. La consideriamo una delle soluzioni possibili per contribuire ad abbandonare la cultura del make-use-waste». E, sempre secondo i dati ufficiali, acquistare un capo di seconda mano su Vinted invece che un capo nuovo evita di emettere 1,8 kg di anidride carbonica equivalente (CO₂e). 

Ma Vinted è davvero così sostenibile? Secondo una ricerca della scorsa estate, sulla piattaforma di seconda mano sono stati pubblicati ben 61,8 milioni capi di Zara (praticamente 100mila al giorno) seguiti da 59,7 milioni articoli di H&M, 21,8 milioni di Shein, 21 milioni di Primark e 10,2 milioni di Mango. Bene perché capi che teoricamente avrebbero una vita breve visto l’avvicendarsi delle tendenze e la qualità non proprio al top continuano a circolare e venire riutilizzati. Male perché di base sempre di fast fashion si tratta: mentre noi rivendiamo l’ultimo blazer usato solo sei mesi su Vinted, Zara è in grado di proporre una nuova collezione ogni due settimane: così Vinted, almeno in parte, alimenta il mercato del fast fashion.

La prova? Una volta gli «haul», ossia i video in cui si fa l’unboxing dei vari capi acquistati, erano riservati a H&M, a Shein e via dicendo: adesso si moltiplicano quelli degli «affari» fatti su Vinted. 

Il nodo dipendenza

E fa nascere un altro problema sempre più comune: quello della dipendenza. «Volevo svuotare l’armadio su Vinted, poi ho comprato tre cappotti in una settimana malgrado ne possedessi già 18», «confessa» una ragazza su TikTok. E sul web si moltiplicano le testimonianze di acquisti compulsivi. Il motivo è presto detto: la app di Vinted è di fatto diventata un social, che si «scrolla» per passare il tempo come Instagram e simili, e che ci bombarda di acquisti a pochi euro che sembrano veri affari.

«Lo shopping veloce, sia esso second hand o meno, crea una soddisfazione veloce e poco duratura perché attiva il circuito dopaminergico della ricompensa — spiega la psicologa Giovanna Molotzu — Compro, e viene rilasciato il neurotrasmettitore della dopamina, che però si riassorbe velocemente e sono nuovamente insoddisfatto, cerco altro da comprare. Tutto sembra un affare ma niente è davvero soddisfacente, o quasi mai lo è».

Molto facile consolarsi con una borsa nuova (costo 8 euro) dopo una giornata difficile, e a quel punto ci viene anche di acquistare un «set», ossia più capi venduti insieme, cosa che molti utenti usano proporre. Il fatto di «compensare» vendendo è spesso un’illusione calcolando che per ogni annuncio pubblicato, migliaia di persone stanno proponendo lo stesso capo a prezzi ancora più bassi. Ci sembra anche di spendere meno perché spesso usiamo il saldo Vinted già disponibile, non rendendoci conto del vero costo. E c’è anche una componente di voyeurismo: spesso seguiamo influencer e vip di cui ci piace lo stile e corriamo ad accaparrarci i loro modelli dismessi (facile, ogni volta che pubblicano qualcosa ci arriva la notifica). Vinted lo sa e infatti ha appena lanciato l’iniziativa House of Vinted che coinvolge i guardaroba — firmatissimi — di alcuni influencer. 

«È un maldestro meccanismo — spiega ancora la psicologa — che come tutti quelli legati alle dipendenze e alle soddisfazioni veloci sembra appagante ma si esaurisce subito. Facilita la disconnessione da se stessi, il non ascolto e soprattutto non placa l’ansia, determina anzi comportamenti compulsivi (gli acquisti) per placare l’ossessione di possedere cose». Fast fashion a poco + acquisti compulsivi? Più che ricircolo, diventa un circolo vizioso. 

PILLOLE FASHION

Il ritorno di Topshop. Euforia collettiva per il comeback di uno dei capisaldi dei Millennial: il mitico negozio Topshop di Londra con tanto di battage pubblicitario e social. Per chi fosse troppo giovane per ricordarlo, la boutique di Oxford Street è stata per almeno un decennio meta di pellegrinaggi da tutta Europa, tappa fissa di qualsiasi weekend londinese prenotato con una compagnia low cost apposta per fare shopping. I capi erano all’avanguardia, gli acquisti online non erano ancora così sviluppati, l’atmosfera era Indie che di più non si può e Kate Moss firmava collezioni i cui pezzi forti sono ancora ricercatissimi. In molti nutrono dei dubbi sul fatto che si possa replicare un successo del genere. Staremo a vedere. 

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