Risale la tensione nel mondo bancario sul pericolo di un nuovo round di Extraprofitti, sia pure camuffato, un anno dopo aver sventato il prelievo forzoso del valore di 3,2 miliardi iniziali, derivanti dai margini di interessi “drogati” dall’aumento dei tassi Bce. Il decreto, dopo un lungo dibattito, fu modificato consentendo agli istituti di iscrivere a riserva 2,5 volte la somma del prelievo per un totale di 5,7 miliardi. Le indiscrezioni di ieri su un ”contributo solidale” una tantum dell’1-2% sui profitti degli ultimi 18-24 mesi, crea “sconcerto” nel settore, come trapela dall’Abi che dopodomani riunirà a Milano il comitato esecutivo presieduto da Antonio Patuelli per approvare la linea di azione proposta dal dg Marco Elio Rottigni. E che sarà di opposizione netta a una nuova tassa con la disponibilità verso contribuzioni di solidarietà: per gli istituti «serve una visione di comunità». Secondo i calcoli dell’ufficio studi Fabi, un prelievo forzoso dell’1-2% impatterebbe per 661-1.322 milioni. Inoltre, a luglio scorso i prestiti alle imprese si sono attestati a 605 miliardi, mentre mutui e credito al consumo per i privati sono arrivati a 666 miliardi.
IL VERTICE DI DOPODOMANI
Su questa posizione c’è convergenza tra Carlo Messina (Intesa Sp), Andrea Orcel (Unicredit), Giuseppe Castagna (Bpm). Inoltre c’è chi ritiene che sulla solidarietà vengano coinvolti anche altri settori, come assicurazioni, energetici o pharma. Il settore bancario poi si chiede come mai questa iniziativa sia tornata in Italia mentre a novembre a Budapest in sede Ecofin, lo stesso ministro Giancarlo Giorgetti si era schierato per l’avvio di una discussione a livello di ministri delle finanze europei. Una tassa unica a livello comunitario non creerebbe disallineamenti tra le banche dei vari paesi che andrebbero a stridere con le nuove regole di Basilea e allungherebbero ancora i tempi dell’Unione Bancaria.
Il modello di partenza è quello adottato, in autonomia, dieci mesi fa da Intesa Sanpaolo che ha destinato 1,5 miliardi per sostegni a chi ha bisogno, ai deboli, ai poveri e per l’inclusione. Ora molti banchieri sarebbero pronti ad assegnare risorse alla ricerca, specie quella medica, come quella sulle patologie incurabili ma anche sul tema disuguaglianze. Si torna a ricomprendere i titolari di mutui che faticano a pagare le rate (specie giovani e anziani), i buoni pasto per chi guadagna meno o la carità che è poi la missione delle fondazioni, molte delle quali azioniste delle banche. Secondo qualche banchiere dovrà esserci una supplenza economica per coloro che non ce la fanno.
L’Abi dalla scorsa settimana ha organizzato al suo interno un cantiere di lavoro per l’elaborazione di proposte. Ci sarebbero stati in passato un paio di incontri fra la struttura tecnica del Mef e l’Abi, a metà luglio e qualche settimana fa. E’ possibile che dopo l’esecutivo di mercoledì 25 ci siano incontri istituzionali, per aprire il tavolo e arrivare a una decisione concertata, anche se allo stato il Tesoro non è coinvolto e finora si è sviluppata una polemica politica tra i partiti, con FI nuovamente schierata al fianco delle banche, come avvenne un anno fa.
Qualcuno sostiene che al tavolo debbano sedersi anche le altre categorie in modo da spalmare gli impegni economici, ma dovrà essere il governo a prendere l’iniziativa.
L’esecutivo è alla ricerca di risorse per la manovra di bilancio, le banche sono consapevoli di dover contribuire al rilancio del Paese. A favore delle imprese gioca la sintonia fra banche e industria che si manifesta da tempo con la disponibilità degli istituti a finanziare i progetti di investimento. Inoltre andrebbero estese le garanzie pubbliche per le Pmi.
Più in generale va ricordato che lo scorso anno, quando ci fu l’annuncio del decreto, in borsa i titoli bancari persero 8,9 miliardi di valore. Inoltre entro fine anno le agenzie di rating daranno il voto all’Italia e, secondo alcune forze di governo, un prelievo ulteriore sui conti degli istituti sarebbe dannoso. Oggi la parola a piazza Affari.
Nelle ultime ore dai banchieri si fa presente che la mossa di UniCredit su Commerzbank allarga i confini del risiko verso operazioni cross-border. Il che significa che gli istituti devono mantenere livelli di patrimonio adeguato.
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