Il viaggio in Libano di venerdì, il sostegno a Raffaele Fitto alla Commissione Ue e le schermaglie con Elly Schlein. E quindi: a Beirut «Avanti con Unifil»; a Bruxelles «Prevalga l’interesse nazionale»; e sull’Albania «Il resto del mondo è con noi». Nella giornata campale che ieri è culminata con un Consiglio dei ministri quasi in notturna con i primi stralci di manovra, Giorgia Meloni ha fatto il suo esordio al Senato di buon mattino. Il tailleur rosso fuoco per ore non pare però foriero del consueto corpo a corpo con le opposizioni. I toni infatti restano sotto soglia. Almeno fino a quando nel pomeriggio il botta e risposta non porta la premier a incrociare le lame con la segretaria dem, con Vincenzo De Luca (per interposta persona) e con Giuseppe Conte.
LE COMUNICAZIONI
Prima di tutto però Meloni dedica le consuete comunicazioni in vista del Consiglio Ue di domani e venerdì (ma la premier sarà da oggi a Bruxelles per l’incontro tra i Ventisette e il Consiglio di cooperazione del Golfo) a ribadire la posizione del governo sulle crisi internazionali. Sull’Ucraina la linea è quella consueta: «Non ci rassegniamo, come pure in molti suggeriscono, all’idea di abbandonarla». Sul Libano invece, con i toni già rappresentati a Benjamin Netanyahu durante la telefonata di pochi giorni fa, Meloni avanza la pretesa che «venga garantita la sicurezza dei nostri militari», affiancando alla consapevolezza che «sarebbe un grave errore» ritirarsi dalla missione Unifil, la convinzione che l’atteggiamento dell’esercito israeliano sia «ingiustificato» oltre che «una palese violazione della risoluzione 1701 dell’Onu», pur palesando la necessità di «non isolare» Tel Aviv. Un lungo passaggio, ribadito a Montecitorio, di cui Meloni approfitta non solo per confermare il suo viaggio in Libano di venerdì pomeriggio anticipato dal Messaggero (la prossima settimana invece sarà il ministro degli Esteri Antonio Tajani a recarsi in Israele e Palestina), ma pure per mettere nel mirino «un antisemitismo montante che, credo, debba preoccuparci tutti». Inviti e rimostranze a cui se Schlein ribatte chiedendo al governo «di riconoscere lo Stato di Palestina», Conte sostenendo che a Gaza «sono stati chiusi tutti e due» gli occhi.
Scaramucce che seguendo lo schema abituale cadenzato da una prima dichiarazione della premier e poi da replica, pranzo al Quirinale e contro-replica (tralasciando qualche smorfia e qualche impuntatura), portano al momento clou in cui Meloni invita tutti i partiti a sostenere Fitto «senza distinguo e tentennamenti». Specie per quanto riguarda il Pd e il Partito socialista europeo. «Nella costruzione dell’Ue, il peso degli Stati membri e più importante del peso dei singoli partiti politici — scandisce — Fitto non sarà il commissario di Giorgia Meloni o di Fratelli d’Italia, ma sarà un commissario italiano. Mi spaventa che il gruppo socialista che e a favore della Commissione dica che non accetterà che all’Italia venga riconosciuto un vicepresidente». Un dito puntato da cui se Conte si sottrae («È pessimo») invitandola a «togliersi il guscio di Calimero», la segretaria dem preferisce opporsi con una verve («Noi, che non siamo come voi, valuteremo le audizioni di tutti i candidati commissari, Fitto compreso») che la porta fino a definire Meloni «una bulla», «perché alza la voce con Sea Watch ma non con Netanyahu».
IL TAVOLO UE
Mordente che Meloni usa per scontrarsi con Piero De Luca, deputato del Pd figlio del governatore campano, nonché accusatore per un presunto «danno erariale» causato dall’intesa con l’Albania. «Secondo me si configura come danno erariale il fatto che un presidente di Regione spenda migliaia di euro dei soldi dei cittadini per comprare una pagina del quotidiano per dirsi solo quanto è bravo…» le parole della premier che punta alla «deterrenza» come chiave di volta di una gestione migratoria che “piace” al resto d’Europa («Le nostre politiche migratorie sono diventate le politiche migratorie dell’Ue. Quindi francamente temo che siete voi ormai ad essere isolati» scandisce Meloni). Il tema sarà infatti sul tavolo del Consiglio Ue, in una riunione informale con i leader dei Paesi «più interessati al fenomeno». Nelle stesse ore sono attesi i primi stranieri nel centro di Gjader, secondo il protocollo con l’Albania che, secondo la premier, «è percorribile con altri Stati extra-Ue».
Fra le altre priorità italiane in chiave europea, la premier indica infine «la verifica di possibili strumenti di debito comune», e la necessità di «riaprire» la partita sullo stop alle auto diesel dal 2035. Un altro obiettivo in vista della tappa a Bruxelles, la dilazione dei tempi del Pnrr, è definito fra le righe, quando Meloni infine ricorda che «alcune nazioni già stanno chiedendo» di derogare la scadenza del Next Generation Eu.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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