18.05.2025
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Economy

Usa, intesa con Londra. Wall Street ora festeggia. Il segnale alla Ue sui dazi


Lo ha annunciato con toni trionfali: Usa e Regno Unito hanno raggiunto un accordo commerciale «pieno, esaustivo, completo». Ma mentre Donald Trump esaltava l’importanza della notizia nello Studio Ovale, l’ambasciatore britannico Peter Mandelson lo riportava diplomaticamente con i piedi per terra: «È solo l’inizio». C’è voluto poco agli esperti per capire che l’accordo non era di portata storica come Trump lo proclamava, ma per i mercati è stato sufficiente per tirare un gran sospiro di sollievo. È infatti il primo vero risultato tangibile dopo l’ondata di tariffe globali lanciata dal presidente lo scorso 2 aprile, quando aveva imposto dazi generalizzati del 10% su gran parte delle importazioni di tutto il mondo.

LO SCAMBIO

Per Trump, quella di ieri è stata una boccata d’ossigeno politica. Dopo aver sbandierato l’idea di «90 accordi in 90 giorni», l’intesa con Londra è la prima e finora l’unica a materializzarsi. Sul fronte europeo Bruxelles ha reso noto le contromisure per sfidare i dazi imposti dagli Usa. Sul versante cinese Trump ha lasciato intendere che nel fine settimana potrebbero esserci novità dai colloqui in Svizzera guidati dal segretario al Tesoro Scott Bessent. Ma alla domanda se sia disposto a ridurre i dazi che oggi colpiscono la Cina per un totale del 145%, ha risposto: «Vedremo». Sull’ipotesi di un colloquio diretto con Xi Jinping, ha aggiunto: «Mi piacerebbe, dipende da come va».

L’intesa con Londra è stata siglata mercoledì notte e prevede un allentamento dei dazi americani su alcune categorie di prodotti britannici, tra cui automobili, acciaio e alluminio. In cambio,Londra aprirà maggiormente i suoi mercati ad alimenti e prodotti agricoli Usa, come carne bovina, pollame ed etanolo. Il Regno Unito si è anche impegnato ad acquistare aerei Boeing per 10 miliardi di dollari. Le tariffe sui veicoli britannici scenderanno dal 25% al 10%, con un tetto massimo di 100.000 unità esportabili. Sarà poi ampliato l’accesso al mercato britannico di alcuni settori industriali americani, come quello chimico e meccanico

Abbastanza scettici i commentatori: secondo alcuni si tratta di un accordo «marginale», cui si poteva arrivare con qualche mese negoziato, senza scatenare una guerra commerciale mondiale. Resta il fatto che è stato un segnale positivo e che ha avuto un effetto immediato sui mercati: le Borse hanno reagito con entusiasmo, e la Banca d’Inghilterra ha tagliato i tassi d’interesse di un quarto di punto, scendendo al 4,25%. Il governatore Andrew Bailey ha commentato che l’accordo contribuisce a ridurre l’incertezza economica.

Attraversata la Manica, la parola d’ordine non è più ritorsione, ma riequilibrio. L’Europa rimane determinata a trattare con gli Stati Uniti, ma intanto svela il piano B, pronto a scattare in caso di mancato accordo. La Commissione ha inviato ieri ai governi dei 27 Paesi Ue un nuovo lotto di controdazi — il secondo da quando è cominciata la contesa — per un volume d’affari di 95 miliardi di euro di export americano. Nel dettaglio, colpisce soprattutto beni industriali, dagli aerei civili, tra cui rientra proprio il colosso Boeing, alle auto, ma anche voci di agroalimentare (dalla frutta secca agli sciroppi) e pesca e acquacoltura (dal salmone affumicato all’aragosta). Si tratta della reazione «proporzionata» che l’esecutivo Ue ha messo a punto in risposta alla raffica di tariffe trumpiane su auto e componentistica (25%) e ai dazi ritenuti reciproci del 20% su gran parte del restante export, sospesi fino a metà luglio nella parziale tregua proclamata dalla Casa Bianca. Ai 95 miliardi messi nel mirino ieri se ne aggiungono altri 4,4 di restrizioni, invece, che si applicano all’export europeo verso gli Usa: riguarderanno prodotti chiave per il mercato americano come rottami e scarti di acciaio e alluminio e composti chimici utilizzati nella trasformazione alimentare.

I servizi (e quindi le Big Tech americane) sono, ancora una volta, risparmiati dalla rappresaglia, ma «tutte le opzioni rimangono sul tavolo», ha insistito ieri un alto funzionario Ue, compreso lo strumento anti-coercizione, il tasto rosso che Bruxelles può decidere di premere per escludere le aziende Usa dagli affari e dagli appalti pubblici nell’Unione. Fuori dall’elenco pure quelle categorie di beni che Washington ha, per ora, risparmiato dai suoi affondi commerciali, come i medicinali (ma entrano dispositivi sanitari monouso come le siringhe) e le materie prime strategiche, tra cui il rame. Con il piano svelato ieri, la Commissione manda in soffitta la risposta del taglione «euro per euro, dollaro per dollaro», che avrebbe rischiato di innescare un’escalation. «Non vogliamo spararci sui piedi», ma optare per una strategia più sostenibile nel lungo termine: «Ci stiamo allontanando dall’idea di una pressione temporanea per favorire i negoziati, e preparando a all’eventualità che i dazi restino nel tempo». Allo stato delle cose «il 70% delle nostre esportazioni verso gli Usa è oggi colpito da dazi aggiuntivi». Adesso comincia un iter fatto di confronti con le capitali (giovedì la ministeriale a Bruxelles) e di consultazioni con i settori economici interessati, fino al 10 giugno.

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