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«Un bene che ci si mobiliti»


Uniti nella richiesta al governo di dire basta alla collaborazione militare con Israele. Ma divisi sulla (doppia) piazza anti-riarmo che sfila attraverso la Capitale. Perché al corteo per dire no alla «follia» del piano di riarmo europeo (il copyright è di Giuseppe Conte) promosso da 430 associazioni tra cui Arci, Acli, Anpi e Cgil, in mezzo agli slogan anti-Israele e anti-Nato vanno in scena anche le fratture del centrosinistra. Diviso tra chi sta in prima fila, come il duo rosso-verde Fratoianni e Bonelli e una sparuta pattuglia di pacifisti dem, chi resta alla larga come Elly Schlein e il grosso del Pd, che ufficialmente non aderisce. E chi, come il leader M5S, partecipa ma – almeno all’inizio – rimaneun po’ in disparte, piazzandosi verso la fine della manifestazione, forse per non confondersi tra la selva di bandiere rosse che affolla viale Aventino.

LE CONTESTAZIONI
«Siamo cinquantamila», diranno alla fine gli organizzatori, mentre la questura parla di 15mila presenze tra il corteo principale e quello organizzato da Potere al popolo da piazza Vittorio (dove nel tragitto fino ai Fori imperiali vengono bruciate foto di Trump, ma pure bandiere di Israele e dell’Ue). Nessuna tensione, invece, alla manifestazione che parte da piazzale Ostiense e raggiunge il Colosseo, benedetta pure dal cardinale Pietro Parolin: «Bene che ci si mobiliti per evitare la corsa al riarmo», commenta il segretario di Stato vaticano. Qualche fischio e qualche «vai a casa!» se lo prende Conte, che un pezzo della piazza accusa di aver sottoscritto l’aumento per le spese militari al 2% quando era premier. «Fuori i sionisti dal corteo!», gli gridano i giovani del fronte comunista quando il leader pentastellato passa loro vicino.

L’avvocato, però, non si scompone. Al contrario, impeccabile in camicia blu nonostante gli oltre 35 gradi all’ombra, l’ex premier rivendica di essere stato il primo a insistere sul no al riarmo, «dalla piazza di San Giovanni a quella del 5 aprile ai Fori imperiali». Tanto che martedì sarà all’Aja, per un contro-summit di protesta nel giorno del vertice Nato. «Mi dicono che sono un armaiolo – sferza – perché ho portato la spesa Nato dall’1,2 all’1,4. Io non sono antimilitarista, un esercito ci vuole, ma raddoppiare l’impegno al 5% del Pil è una follia, significa distruggere il welfare». Il Pd assente? «Chiedetelo a loro…».

Accanto a lui il deputato Leonardo Donno indossa una maglietta con Meloni e von der Leyen in elmetto e mimetica. Più in là spunta una bandiera russa, qualcuna dell’Iran, altre di Hezbollah. È variegata, la piazza, e contraddittoria. Un pezzo del corteo a un certo punto intona il coro: «Se si va in guerra, al fronte va Ca–len–da!». Replica a distanza via Twitter il leader di Azione: «Il problema di questi ragazzi, diciamo così inconsapevoli, è che non comprendono che senza adeguati investimenti in difesa le possibilità di andare in guerra aumenteranno esponenzialmente». Poi affonda: «Strappare la bandiera ucraina invece non si giustifica. Ragazzi della loro età stanno combattendo per la libertà contro un fascista dittatore. Onorateli e vergognatevi». Il riferimento è a un momento del corteo dei Fori, in cui a un manifestante viene proibito di sventolare la bandiera ucraina: «Con questa qui non si può stare». Segue un momento di tensione, con la bandiera che viene strappata.

CAMPO UNITO
I dem intanto si tengono alla larga. Schlein è ad Amsterdam, impegno preso da tempo. Gli eletti pd presenti in piazza, «a titolo personale», stanno tutti sotto l’ombrello arcobaleno anti-solleone di Marco Tarquinio. Gli chiedono: un problema l’assenza di Renzi e Calenda? «Perché, Calenda sta nel centrosinistra?». Con lui ci sono Sandro Ruotolo, Paolo Ciani, Arturo Scotto e Cecilia Strada.«C’è un pezzo di Paese, tra cui nostri elettori, che oggi sono qui, e con cui bisogna interloquire senza paura anche delle critiche», la linea.

«Siamo nel posto giusto, dove chi crede nella pace deve essere», la legge Nicola Fratoianni, che pure non sarà all’Aja con M5S, come pure non ci sarà il Pd. Ma per il leader di Sinistra italiana «il campo largo è più unito che rotto». Lo dimostra la mozione unitaria promossa dai Cinquestelle e firmata da tutti e quattro i leader per chiedere la revoca del memorandum d’intesa con il governo israeliano nel settore militare e della difesa e la sospensione di qualsiasi forma di cooperazione militare con Israele. Un modo per provare a insidiare Meloni, che lunedì riferirà alle Camere in vista del consiglio europeo. E per marciare uniti almeno in Aula. In piazza, sarà per la prossima volta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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