23.05.2025
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Politics

tutti i falsi miti da sfatare (anche sui presidenti Rai)


ROMA Si dice, nel mainstream politico/giornalistico di questi giorni confusi di Consulta: «Mai vista un’elezione così, con tanti mesi di ritardo per scegliere un giudice costituzionale». Uhm, mica vero però. Vero, casomai, il contrario. L’elezione di un membro della Corte Costituzionale, che pure per definizione dovrebbe essere tirata fuori dalle beghe partitiche, è spesso fonte di lotte sanguinose, a volte fratricide. Basti vedere una delle ultime occasioni. A dicembre del 2015, nove anni fa, per far passare il trio Barbera, Modugno, Prosperetti ci vollero la bellezza di 32 votazioni, uno stillicidio, con i presidenti di Camera e Senato dell’epoca, Laura Boldrini e Pietro Grasso che – alla 28esima fumata nera – chiamarono il voto ad oltranza, uno al giorno, per sbloccare l’impasse.

Si dirà, si è detto: ma maggioranza e opposizione devono trovare un accordo bipartisan. Vero, certo. E giusto, soprattutto. Ma poi mica è andata sempre così. Sempre nel 2015, il trio Barbera-Modugno-Prosperetti fu il frutto di un accordo tra il Pd allora renziano e M5S, che era sì all’opposizione, ma tagliando fuori Forza Italia (che aveva lanciato il nome di Francesco Paolo Sisto) con grande ira di Silvio Berlusconi.

I PRECEDENTI

Si dirà, si è detto. Francesco Saverio Marini non è gradito al centrosinistra, in quanto “padre” costituzionale del premierato. Giusto, vero. Ma poi, ad esempio, si scopre che il papà, Annibale Marini, venne nominato consigliere della Consulta (18 giugno ‘97) da una maggioranza di centrosinistra, che sosteneva il governo Prodi. Si scopre anche che non è la prima volta che il centrosinistra fa le barricate per un candidato di centrodestra. A ottobre del 2008, governo Berlusconi, l’avvocato del Cav Niccolò Ghedini propose (e passò) Giuseppe Frigo dopo il no deciso a Gaetano Pecorella.

Si dirà, si è detto. Ma la maggioranza nomina i suoi. Uhm, mica vero. Non sempre. Ci sono infatti anche parecchi casi bipartisan. Sergio Mattarella, prima di diventare Capo dello Stato, venne eletto alla Corte – in un accordo tra le forze politiche – sotto il governo Berlusconi, ottobre 2011. E Paolo Maria Napolitano, per anni consulente legislativo di Gianfranco Fini (quando era il capo di An) fu nominato sotto governo Prodi, luglio 2006. Ieri il centrodestra ha ricordato che, nel 2022, è stato nominato Marco D’Alberti, già consulente di Mario Draghi. Peccato però che la scelta fu fatta dal Capo dello Stato (e non dalle forze politiche) quando il governo Draghi, settembre ‘22, era già caduto.

LA RAI

Volendo allargare il discorso, anche in Rai le cose sono andate un po’ diversamente da come sono raccontate. Di solito la maggioranza vota un presidente “di garanzia”: nel 2003 Lucia Annunziata, nel 2005 Claudio Petruccioli, nel 2009 Paolo Garimberti (tutti governi Berlusconi). Ma qualche altra volta no. Nel 2015 il governo Renzi sceglie Monica Maggioni, nel 2018 i giallo-verdi (Conte e Salvini) puntano su Marcello Foa, che passa al secondo scrutinio, senza voti del Pd. Morale della favola? Una doppia lettura. Sicuramente, in passato, un certo centrodestra è stato più attento alla “grammatica istituzionale” e al rapporto con le opposizioni. Ma, altrettanto sicuramente, il centrosinistra quasi sempre o vota i “suoi” (o comunque vicini) oppure fa le barricate. Ad ognuno la sua lettura.

Ernesto Menicucci

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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