C’è un momento in cui cala il silenzio. Insieme a un velo di imbarazzo. Lunedì sera, ore sette circa. Donald Trump è videocollegato con i leader europei, li informa della telefonata che ha appena avuto con Vladimir Putin. Macron, Merz, Meloni, von der Leyen ascoltano. Fra loro c’è chi resta spiazzato dai toni della conversazione. Trump è serafico, ottimista. Spiega che Putin «vuole trattare» e che sanzionare il Cremlino ora «non è una buona idea». I leader si guardano negli schermi. Attoniti, racconta Axios fornendo un resoconto dettagliato della telefonata clou fra Europa e Stati Uniti che apre uno spaccato sugli umori delle cancellerie europee.
LE APERTURE DI DONALD
Appuntamento alle sette circa, si diceva, la premier italiana si collega da Palazzo Chigi. Sembra passata un’era dall’ultimo contatto di “Donald” con gli alleati, quella chiamata nella tarda sera di domenica in cui ha promesso il pugno di ferro con Putin qualora le trattative dovessero arenarsi. Invece sono solo ventiquattro ore. Eppure il registro è cambiato. Qualcosa, nella conversazione con il presidente russo, deve aver colpito nel segno. E addolcito i bellicosi propositi con cui il commander-in-chief americano aveva alzato la cornetta russa nella mattinata.
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Gli europei al telefono tengono il punto. Lo fa Meloni chiedendo perché non concordare un cessate-il-fuoco «di almeno due settimane». Condizione necessaria a iniziare i negoziati. Per sedersi al tavolo, è la linea italiana, devono prima tacere le armi. Anche il neocancelliere tedesco Merz incalza con grazia il presidente americano. Gli chiede quali concessioni concrete Putin è disposto a fare. Si è davvero impegnato al telefono con lui a fare passi per la tregua? Nei fatti, non è così.
Trump si limita a dire che il russo presenterà presto «un memo per la pace». È convinto che quel documento scritto a cui lavora lo “zar” sia già un passo avanti significativo. Gli ha fatto capire, racconta ai leader Ue, che dovrà presentarsi con una proposta spendibile questa volta, senza imposizioni e arroccamenti che verrebbero rigettati dalla controparte ucraina come dagli alleati atlantici.
È un passo avanti, certo, ma non basta. Raccontano un velo scuro sul volto di Zelensky quando, dopo la telefonata di Putin, Trump lo chiama per informarlo. Si erano già sentiti alla vigilia, ora però lo spartito è ribaltato. L’ucraino prova a farlo ragionare, racconta Axios.
Spiega a Trump che Putin si è già offerto di trattare altre volte senza mai fare una vera concessione. Parole vuote. I colloqui di Istanbul della scorsa settimana — da un lato una delegazione di alto livello ucraina, dall’altro solo un drappello di consiglieri del Cremlino, uno schiaffo ai negoziati — stanno lì a dimostrarlo. Trump non vuole sentire troppe storie. Ed è fin troppo chiaro il nervosismo del presidente che aveva promesso la pace «in un giorno» nelle parole di un portavoce della Casa Bianca che ieri diceva: «Non sta a Zelensky decidere quali sono le condizioni per un negoziato».
UN GIUDICE A BERLINO
Su un punto i leader atlantici concordano, nella videocall-fiume di lunedì sera: il Vaticano è la sede giusta per il prossimo round di colloqui per la pace. L’Italia preme per portare Oltretevere le trattative, Trump acconsente volentieri, forse tentato dall’idea di chiudere la guerra dei tre anni al fianco del primo papa americano. Sul resto è ancora nebbia fitta. Tutto si muove in fretta. Il grande rebus è quale ruolo avrà l’Europa al tavolo dei negoziati. L’Italia si è prenotata un posto, fra l’altro, con l’opzione vaticana, Macron, Merz e Starmer rivendicano più degli altri gli enormi sforzi finanziari per sostenere l’Ucraina in tre anni di conflitto.
L’ipotesi di un accordo a due — Usa e Russia — è una preoccupazione strisciante nelle capitali europee. Sono di nuovo Meloni e Merz a insistere con l’alleato americano. I Paesi europei «devono essere coinvolti» nelle trattative di pace, fa notare il leader del governo tedesco che propone di aggiornare la riunione dal vivo. «Qualcuno deve fare da giudice» sono invece le parole della premier italiana riportate da Axios. Alla fine i leader concordano: il Vaticano deve scendere in campo. Saluti e convenevoli, gli schermi si oscurano: click. Nella speranza, quasi una preghiera, che Trump tenga sempre accesa la linea europea.
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