BRUXELLES Donald Trump non molla la presa. Anzi, fa sentire il fiato sul collo agli europei quando mancano ormai poco più di 10 giorni al termine ultimo del 1° agosto: entro quella data andrà trovato un accordo per evitare i maxi-dazi al 30% su tutte le importazioni dal continente, che andrebbero a sommarsi al 50% già in vigore su acciaio e alluminio e al 25% su auto e componentistica. Dopo mesi di trattative, e una nuova missione a Washington del commissario Ue al Commercio Maros Sefcovic che non ha prodotto svolte, la pressione negoziale rimane altissima.
Anche in caso di intesa, il dipartimento del Commercio sarebbe determinato, infatti, a non scendere sotto un’aliquota di 15-20% di dazi da applicare all’Unione europea. Al di sopra, insomma, del 10% generalizzato che già aveva creato molti malumori nell’Ue. E sempre più vicini alla quota del 20% che il tycoon aveva svelato in occasione del “Liberation Day” del 2 aprile. Di fatto, nessuno sconto, come se questi mesi fossero passati invano. La decisione finale spetterà a Trump, avverte una fonte diplomatica. Lo scenario rischia di mandare in frantumi un’Europa i cui nervi sono tesissimi, “trumpiana” Ungheria a parte.
NEL BUNKER
Che la riunione degli ambasciatori dei 27 Stati Ue con Sefcovic, ieri pomeriggio a Bruxelles, si sia tenuta in formato ristretto e nel cosiddetto “bunker”, senza telefoni, è un segnale che il clima non è certo positivo. Di fronte alla disponibilità Ue a trattare fino all’ultimo momento utile, la postura americana si è via via irrigidita. E tra i diplomatici che seguono le trattative c’è chi è convinto che il pressing non farà che aumentare nei giorni a venire. «Non vogliamo una guerra commerciale, ma non sappiamo se gli Usa ci lasceranno altra scelta», ha affermato tra i denti un diplomatico. I prossimi giorni serviranno per capire su cosa cedere, ed eventualmente che contromisure adottare. E, infatti, si rafforza il fronte di chi sostiene una risposta più decisa, eventualmente anche attivando il bazooka commerciale Ue che consente di limitare investimenti e partecipazione agli appalti per le aziende Usa. I timori che ciò possa scatenare una reazione furiosa non mancano. Alla Francia, però, si sono affiancati vari Paesi, dall’Austria alla Svezia, fino al Portogallo. E, per la prima volta, ieri lo ha evocato pure la Germania.
All’inizio dei colloqui, l’Ue aveva offerto a Trump l’azzeramento dei dazi reciproci su una serie di beni industriali strategici come le automobili, la farmaceutica, la chimica e i macchinari. Un’ipotesi che non ha mai fatto gola all’amministrazione Usa, determinata a far cassa con le sovrattasse e finanziare così i maxi-tagli fiscali del suo “One Big, Beautiful Bill” (gli Usa, dopotutto, hanno riscosso quasi 50 miliardi di dollari in entrate supplementari nel secondo trimestre). Anche il successivo punto di caduta — un accordo sul modello britannico, con 10% su tutto l’export per strappare qualche sconto settoriale — non ha dato frutto. E Trump ha alzato la posta. Un funzionario statunitense ha detto al Financial Times che al vaglio è adesso un dazio superiore al 10%. Il pessimismo sulle prospettive di una schiarita — che Sefcovic avrebbe condiviso con gli ambasciatori dei 27 — fa proseliti tra le capitali: ieri il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha sottolineato che, se ci sarà, l’intesa sarà inevitabilmente asimmetrica. Con più dolori per la sponda Ue che per quella Usa. Secondo quanto riferisce l’Ft, Trump avrebbe dimostrato scarso interesse per l’ultima offerta Ue: dazi zero sull’importazione di auto made in Usa in cambio di una riduzione della tariffa per le vetture europee. Il negoziato prosegue «sul filo del rasoio», avverte una fonte diplomatica. Consapevole che il tavolo potrebbe ancora saltare. A Bruxelles, un rinvio dopo il 1° agosto non sembra del tutto escluso, considerata l’imprevedibilità delle deliberazioni americane, ma era stata la Casa Bianca, giovedì, ad avvertire che non sono previste proroghe. A testa bassa, Bruxelles continua intanto a tessere la sua tela globale, il vero piano B perché «se il 13% del commercio Ue è con gli Usa, il restante 87% è con il resto del mondo». Ieri la Commissione ha incassato l’ok dei governi ad avviare negoziati di libero scambio con le monarchie del Golfo, mentre tra mercoledì e giovedì i vertici Ue saranno a Tokyo e Pechino per summit bilaterali con Giappone e Cina.
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