Contrordine. Nei centri per migranti in Albania possono essere trattenuti anche i richiedenti asilo. Perché quelle strutture possono essere «equiparate a tutti gli effetti» ai Centri di permanenza e rimpatrio italiani. Una sentenza della Corte di Cassazione riapre la partita del patto fra Italia e Albania per i rimpatri. E dà al governo un po’ di ossigeno dopo mesi di braccio di ferro con le toghe sull’attuazione del protocollo firmato da Giorgia Meloni ed Edi Rama.
La svolta
La prima notizia risale a giovedì. Chiamata a esprimersi su un provvedimento di convalida di trattenimento di un migrante marocchino nel centro albanese di Gjader, annullato dalla Corte d’Appello di Roma, la Cassazione dà ragione al governo. O meglio al Viminale di Matteo Piantedosi che ha impugnato il provvedimento della Corte insieme alla Questura di Roma. Colpo di scena? Si può dire di sì, a sfogliare le conclusioni della Corte suprema. Che statuisce un principio: d’ora in poi tutti i migranti, anche chi ha fatto richiesta in Italia di protezione internazionale, potranno essere trattenuti nelle strutture albanesi, da Gjader a Shengjin.
È un tornante. E la seconda novità è che le toghe romane a cui è chiesta la convalida dei trattenimenti nel Paese est-europeo hanno già iniziato ad adeguarsi. In due sentenze ravvicinate, una dell’8 maggio, l’altra di ieri, la Corte d’Appello di Roma ha convalidto il trattenimento di due richiedenti asilo nel centro di Gjader. E lo ha fatto rimettendosi proprio al pronunciamento dei giudici del Palazzaccio. Sarà anche una vittoria temporanea, ma al Viminale come a Palazzo Chigi il dietrofront delle toghe italiane innescato dalla Cassazione non è passato inosservato. Tutt’altro.
Mercoledì scorso, incalzata dalle opposizioni, Meloni ha scandito una solenne promessa. I rimpatri dei migranti rinchiusi nelle strutture in Albania, d’ora in poi, accelereranno. Entro questo week-end «il 25% dei migranti trattenuti in Albania sarà rimpatriato», l’annuncio della presidente del Consiglio nell’emiciclo di Palazzo Madama. Contestato subito dalle minoranze, Pd in testa, convinte che il piano albanese stia arrancando e provocando uno spreco sostanziale di risorse pubbliche. Il dato politico da registrare, o giuridico a seconda da dove si guarda, è una nuova fase nell’infinito scontro fra governo e toghe sul protocollo albanese.
A febbraio il governo con un blitz in Cdm ha approvato un decreto che equipara i centri albanesi ai tanti Cpr disseminati lungo lo Stivale. Quisquilie? Niente affatto: in una mossa Palazzo Chigi ha di fatto scardinato un principio alla base del patto con Rama. Trasformando i centri di Gjader e Shengjin, inizialmente pensati per ospitare le procedure di frontiera dei migranti provenienti da Paesi “sicuri”, dunque destinatari di un imminente provvedimento di espulsione, in centri dove ospitare tutti i migranti, anche i richiedenti asilo. Ora la Cassazione ne prende atto e certifica la svolta che ha permesso, sia pure fra tanti ritardi e rinvii, di far ripartire i trasferimenti albanesi dei migranti arrivati in Italia attraverso il Mediterraneo. Ieri un’altra nave è partita da Brindisi alla volta delle coste albanesi, fra le proteste del centrosinistra. «Becera propaganda per finalità elettorali sulla pelle delle persone migranti» denuncia Elisabetta Piccolotti di Avs.
L’incasso
La sentenza del Palazzaccio, si diceva, interviene sul caso di un richiedente marocchino. La questura di Roma aveva disposto il 25 aprile il trasferimento a Gjader, la Corte d’Appello non lo ha convalidato con una motivazione semplice: una volta in Albania, il migrante ha fatto richiesta di protezione internazionale uscendo quindi dalla “lista” degli stranieri che, stando al protocollo Meloni-Rama, possono essere trattenuti nel Paese al di là dell’Adriatico. Non la vede così la Cassazione. Che risponde: non basta più la richiesta di asilo per sottrarsi alla detenzione in Albania. «Lo straniero trasferito — si legge nella sentenza — permane nella struttura…anche qualora presenti una domanda di protezione internazionale».
Tempo ventiquattro ore ed ecco che la Corte d’Appello — fin qui una sorta di “muraglia cinese”, insieme al tribunale di Roma, contro i trattenimenti in Albania disposti dal Viminale — si adegua alla Corte suprema. Due convalide. Tutte e due danno il via libera al trattenimento di richiedenti asilo, un algerino e un pakistano, convinti di poter evitare la detenzione nel Paese di Rama in virtù della protezione internazionale richiesta. Niente da fare. Inutile dire che al ministero di Piantedosi hanno incassato con una certa soddisfazione il semaforo verde delle toghe. Imprevisto e forse anche insperato dopo mesi di stalli e tensioni.
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