Una condanna durissima delle violenze, l’oppressione degli oppositori politici, gli arresti indiscriminati. E insieme la richiesta urgente di fare luce sulle elezioni in Venezuela, mostrare i veri dati sull’esito delle urne che Nicolas Maduro tiene nascosti. Italia, Francia, Germania, Olanda, Polonia, Portogallo, Spagna. È ormai sera quando una nota congiunta dei sette Paesi membri europei irrompe sulle agenzie. Su iniziativa «di Italia e Francia», precisa in apertura il documento. Giorgia Meloni, Emmanuel Macron e gli altri leader esprimono «forte preoccupazione per la situazione in Venezuela a seguito delle elezioni presidenziali di domenica scorsa». E chiedono a Maduro «di pubblicare tempestivamente tutti i registri di voto per garantire piena trasparenza e integrità del processo elettorale».
Maduro minaccia di cedere il petrolio ai Brics, inasprendo le tensioni con gli Stati Uniti
LA MOSSA
È una mossa coordinata, frutto di una tela diplomatica che ha visto il governo italiano in prima linea. Anzi la premier in persona, che ha incontrato Macron a Parigi, a margine delle Olimpiadi, e con lui, in un colloquio di mezz’ora a Versailles, ha concordato lo statement europeo sul Venezuela. Un segnale concreto del disgelo in atto, almeno sulla politica estera, fra i due leader da sempre rivali in Ue, dopo mesi di tensioni culminate nello strappo sulla nomina di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione europea. Ora qualcosa si muove. E Meloni torna nella “cabina di regia” europea da cui aveva assicurato che l’Italia, nonostante tutto, non sarebbe uscita.
Nella nota firmata tra gli altri dal cancelliere Olaf Scholz e il premier spagnolo Pedro Sanchez, i capi di governo ricordano a Caracas: «L’opposizione indica di aver raccolto e pubblicato oltre l’80% dei registri di voto prodotti in ogni seggio elettorale. Questa verifica è essenziale per riconoscere la volontà del popolo venezuelano». Dunque il monito all’erede di Chavez che rifiuta di mostrare i registri elettorali e ordina alla polizia arresti di massa dei suoi avversari politici costretti alla clandestinità. «I diritti di tutti i venezuelani, in particolare dei leader politici, devono essere rispettati durante questo processo. Condanniamo fermamente qualsiasi arresto o minaccia nei loro confronti. La volontà del popolo venezuelano, così come il suo diritto a protestare e a riunirsi pacificamente devono essere rispettati».
Non è escluso, se l’escalation di violenze dovesse continuare nei prossimi giorni, che i leader europei, Meloni in primis, si riuniscano a distanza per decidere sul da farsi. Le sanzioni sono la pistola sul tavolo. Ma è un’arma a doppio taglio perché in Venezuela vive un’enorme comunità di cittadini europei – imponente quella italiana – e isolare il Paese sudamericano rischia di ripiombarlo nella crisi famelica che lo ha già trascinato giù negli anni scorsi, con le sanzioni di Trump a Maduro.
Parola d’ordine prudenza, dunque. Intanto i principali leader europei parlano a una sola voce e promettono di «seguire da vicino la situazione insieme ai nostri partner e a sostenere l’appello alla democrazia e alla pace del popolo venezuelano». Per Meloni il Venezuela è un nervo scoperto. Già nel 2019, quando Maduro ha schiacciato nel sangue le opposizioni in protesta contro la manomissione del voto presidenziale e costretto all’esilio Juan Guaidò, Meloni spese parole durissime contro il dittatore. E lo fece al suo esordio alla Cpac, la conferenza dei conservatori americani punto di riferimento dell’allora presidente Donald Trump. Non ha cambiato idea sulla dittatura comunista, ora che è a Palazzo Chigi.
L’ANTEFATTO
La nota al vetriolo contro Maduro nasce, si diceva, nel fugace vis-a-vis parigino di venerdì. Meloni e Macron si incontrano in una saletta del parco di Versailles. E in un clima informale, apparentemente cordialissimo, i rivali per antonomasia della politica europea promettono di coordinarsi sulle grandi crisi internazionali che chiamano in causa l’Europa. Da un lato il Medio Oriente. Dall’altro appunto la spirale di violenza in Venezuela. La rivalità politica resta, certo, e non è detto che non torni a incendiarsi ora che la partita per le caselle della Commissione europea entra nel vivo.
Intanto però la presidente del Consiglio prende l’iniziativa e lo fa anche per smentire il racconto, alimentato dalle opposizioni dopo il suo no ad Ursula von der Leyen all’Europarlamento, di un’Italia fuori dai giochi, isolata dal consesso dei grandi Paesi europei. C’entra anche la realpolitik, ovvio. Per Macron condannare Maduro è l’occasione di prendere le distanze dal silenzio imbarazzato di Jean-Luc Melenchon e della sinistra del Front Populaire che bussa alla porta di Palazzo Matignon dopo il voto di inizio luglio. Per la premier italiana e presidente del G7, la chance di rompere gli indugi europei, rispondere al pressing americano. Lanciare un segnale a Donald Trump, il presidente (e candidato) più duro sulla dittatura a Caracas.
A Washington l’allerta per il caso venezuelano è trasversale. Ieri Maduro ha minacciato Biden: se arriveranno nuove sanzioni, cederà i giacimenti petroliferi ai Paesi Brics. Cioè anche a Vladimir Putin. Che, accusa intanto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, è parte in causa nella soppressione venezuelana grazie ai mercenari della Wagner. Nel caos di queste ore, l’Europa batte un colpo. E lo fa su input di Roma e Parigi. La tregua olimpica tra Meloni e Macron dà i primi frutti.
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