24.05.2025
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Politics

Tasse, il muro di Tajani e Salvini. Meloni media con il Mef. La premier cerca risorse per la Manovra


Il rigore dei conti da un lato, i fervori politici ed elettorali dall’altro. È una strettoia angusta quella che Giorgia Meloni è costretta a percorrere mentre il governo si arrovella sulla manovra. Non ha apprezzato l’uscita a sorpresa di Giancarlo Giorgetti sulle tasse da chiedere alle imprese che hanno fatto profitti extra. Borse giù, opposizioni ringalluzzite, smarrimento in maggioranza: se lo sarebbe volentieri evitato. Ma non può e non intende neanche sconfessare il suo ministro dell’Economia. Alleato prezioso in questa fase per tenere chiuso il libro dei sogni degli altri ministri, chi più chi meno decisi a trasporre nella legge di bilancio i rispettivi desiderata. Un bonus qui, uno sconto fiscale lì.

LA STRETTOIA

Mercoledì, durante il Cdm, la premier ha lasciato fare al titolare del Mef la parte del “poliziotto cattivo”. Con tanto di aut-aut ai colleghi seduti al tavolo: «Volete aumentare le tasse o tagliare le spese? Meglio tagliare le spese». Silenzio, Meloni sorride. La dieta dei ministeri — di pari passo con la spending review chiesta a Palazzo Chigi con una circolare — sarà ferrea e non può essere altrimenti mentre il centrodestra si ritrova a fare slalom tra le nuove rigide regole del Patto di Stabilità Ue. E però se Meloni non ha condiviso metodo e tempismo dell’uscita di Giorgetti, a borse aperte e senza preavvisarla, sul merito non è così distante.

Alla manovra mancano tra i cinque e i dieci miliardi. La convinzione sua, proprio come del ministro, è che tutti dovranno fare la propria parte. A cominciare dalle realtà che hanno incassato di più in questo frangente. Energia, assicurazioni. Banche? Chissà. Quest’estate l’idea era affiorata dietro le tende damascate di Palazzo Chigi: una nuova tassa sugli extraprofitti degli istituti di credito, come quella (poi annacquata) che ha scatenato un polverone l’anno scorso. Sono bastati i rumors e i retroscena, e l’allarme del mondo finanziario, a innescare la retromarcia: «Mai pensata», «non c’è nulla».

Una soluzione però va trovata. Per questo ha fatto alzare qualche sopracciglio, nel cerchio della premier, la brusca reazione di Matteo Salvini al “Giorgetti-gate”: «Non c’è nessun aumento di tasse e accise, non è questo il governo che aumenterà le tasse» ha messo in chiaro senza perdere tempo il leader della Lega. Che domani avrà il suo grande momento sul pratone di Pontida e su quel palco non vuole certo presentarsi con promesse di lacrime e sangue.

A puntellare la trincea anti-imposte c’è poi, al solito, Forza Italia. Ancora ieri il segretario Antonio Tajani, pur spezzando una lancia per Giorgetti, «è stato male interpretato», metteva in mora gli alfieri del fisco in maggioranza. Con un monito preciso: «Siamo contrarissimi a imporre nuove tasse».

Il vicepremier è perentorio: «Non so che cosa voglia dire extraprofitti. C’è il profitto lecito e il profitto illecito: se uno fa traffico di droga ha un profitto illecito». E ancora: «Se noi non mettiamo le banche in condizioni di operare chi erogherà più il prestito ai piccoli imprenditori per fare un ammodernamento, essere più competitivi, rivitalizzare la sua azienda?». Si dirà: è da sempre questo il dna della creatura politica di Silvio Berlusconi.

Ma i più maliziosi, anche vicini alla presidente del Consiglio, vedono dietro questo pressing la longa manus della famiglia di Arcore più attenta del solito, ultimamente, alle dinamiche romane. Non sono poche le strettoie lungo il percorso della nuova manovra targata Meloni. C’è il rigore dei conti imposto dall’Ue, la caccia obbligata alle risorse a costo di tagliare ancora (ecobonus, bonus per le seconde case), mettere a dieta la Pa, chiedere uno «sforzo» extra a chi ha cavalcato l’onda negli ultimi mesi. Con le buone — «contributo spontaneo» — o senza: una tassa. C’è insieme l’esigenza di intestarsi una misura politica, come lo sconto fiscale per le famiglie che fanno figli a cui molto tiene la leader di FdI.

LA CAUTELA

Ma c’è anche la volontà di non perdere il sostegno delle imprese a cui Meloni ha dato messaggi rassicuranti a Cernobbio, poi ancora all’Assemblea di Confindustria. È un terreno su cui l’arcirivale Elly Schlein ha preso a sfidarla. Fissa incontri con Ad e presidenti, si intesta la causa. «Ci metta la faccia, il prezzo della sua incoerenza non lo paga lei, né il suo governo, ma lo pagano le famiglie e le imprese italiane» tuonava ieri la segretaria del Pd. L’incontro tra Giorgetti e il numero uno di Viale dell’Astronomia Orsini è servito a questo: chetare gli animi, spegnere gli allarmismi. E c’è un’altra richiesta che monta dalle imprese e Meloni è decisa ad assecondare. Al Pnrr italiano serve tempo extra: la scadenza di giugno 2026 è una tagliola che fa paura. Rinviarla più in là sarà la grande missione del Commissario Raffaele Fitto a Bruxelles.

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