Ministro, Moodys, dopo anni di bocciature che avevano portato l’Italia a un passo dai bond spazzatura, ha promosso il Paese riconoscendo il merito del controllo dei conti pubblici. Cosa vuol dire e cosa comporta questa rinnovata fiducia dei mercati?
«La decisione di Moody’s, insieme a quella delle altre 3 agenzie di rating, è un segnale importante. Come ha ben detto il presidente Meloni, questo riconoscimento premia il lavoro serio e responsabile del nostro governo, frutto di scelte coerenti sui conti e di riforme strutturali, ma anche il lavoro e l’impegno delle nostre imprese e dei nostri lavoratori. Ha vinto l’Italia come sistema Paese. Chiaramente per noi non è un punto d’arrivo, ma un rafforzamento della nostra affidabilità sui mercati internazionali, cosa che si traduce in minori costi di emissione sul debito».
La riduzione degli spread, i risparmi sugli interessi sul debito, possono aprire per il prossimo futuro a politiche fiscali più accomodanti. Lo dico diversamente, dopo il taglio dell’Irpef per la classe media, quale potrà essere il prossimo passo della riduzione fiscale che fino ad oggi il governo ha portato avanti?
«Dobbiamo prima capire quale sarà l’entità effettiva di questi risparmi e quindi delle risorse che avremo a disposizione. Accertato questo, continueremo sulla strada della riduzione delle tasse senza fare il passo più lungo della gamba. La nostra priorità é sostenere il potere d’acquisto degli italiani e stimolare la competitività delle nostre imprese».
L’obiettivo della flat tax entro la legislatura resta raggiungibile?
«L’idea è proseguire sulla strada della riduzione delle aliquote».
Qual è la filosofia di fondo della manovra del governo e, dal suo punto di vista, tenendo fede a questa filosofia, quali sono le modifiche che realisticamente sono praticabili tra le molte che arrivano dal Parlamento?
«L’obiettivo del Governo é la crescita che si muove su due direttrici: incentivare i consumi e sostenere gli investimenti. Attraverso detassazione e decontribuzione abbiamo sostenuto i salari e per gli investimenti abbiamo riproposto l’iperammortamento per le imprese per il 2026. Adesso stiamo lavorando per renderlo almeno biennale. Credo sia un passo importante per dare certezze alle imprese e sarà uno dei temi prioritari dei prossimi giorni. La prosecuzione degli investimenti è del resto una delle priorità indicate dalle stesse agenzie di rating nei loro giudizi».
Le banche sono state chiamate a dare un consistente contributo alla copertura delle misure, si potrà chiedere di fare un ulteriore sforzo?
«Guardi, credo che prima di tutto vada evitato di demonizzare le banche. La loro attività è fondamentale per la crescita del Paese. E da questo punto di vista, nelle scorse settimane, abbiamo avuto una proficua interlocuzione con gli istituti di credito. Ne dobbiamo tenere conto».
Detto questo?
«Stiamo raggiungendo un buon punto di equilibrio sull’entità del loro contributo alla manovra».
Dunque c’è ancora spazio?
«La decisione finale spetta al Parlamento».
Si è molto discusso della tassazione degli affitti brevi. Per alcuni la casa va difesa, per altri si tratta ormai di una rendita finanziaria e così andrebbe tassata. Come se ne potrà uscire?
«Serve sicuramente buon senso. Da un lato va tutelato il patrimonio immobiliare e la funzione sociale della casa, dall’altro occorre evitare distorsioni per evitare ingiustizie e garantire un gettito coerente con la natura dell’eventuale “rendita”. Logicamente, una cosa è usare un immobile per una locazione tradizionale e un’altra utilizzare una piattaforma per affitti brevi, per guadagnare di più. Sono certo che si riuscirà a trovare una sintesi ragionevole fra le forze di maggioranza».
C’è stato un acceso dibattito su chi abbia ricevuto i maggiori benefici dalla manovra. C’è chi sostiene che il taglio dell’Irpef, pensato per la classe media, aiuti invece i redditi più alti?
«In queste settimane sono state sostenute tante cose, ma a noi questa filosofia del “tanto peggio tanto meglio” non interessa e non stimola a livello di dibattito. I numeri della manovra parlano chiaro. Come già detto, siamo intervenuti destinando quasi 3 miliardi per ridurre le aliquote Irpef del ceto medio e sui redditi più bassi destinando 2,1 miliardi. Abbiamo alleggerito il carico fiscale sui premi di produttività, detassato i buoni pasto, incentivato i rinnovi contrattuali. I fatti parlano per noi».
Altra accusa. Il governo fa cassa sui salari attraverso il fiscal drag, incassa più tasse grazie all’inflazione. La Bce dice che non è così e la stessa manovra ha introdotto detassazioni per gli aumenti contrattuali e il lavoro scomodo. Si può fare ancora di più?
«Si può fare sempre di più, in tutto. Questo lo dico a prescindere dal fiscal drag, sul quale sono state dette tante cose non corrette. La verità è che per i lavoratori dipendenti sotto i 35mila euro c’è stato un recupero vero, netto, concreto. Non lo dice il governo Meloni o il viceministro Leo, ma la Bce e la Banca d’Italia».
La prossima manovra, quella per il 2027, sarà l’ultima di questo governo. Se lei dovesse scegliere un’unica misura su cui puntare tutte le fiche il prossimo anno, quale sceglierebbe?
«Proseguirei sulla strada di riduzione delle tasse e sulla realizzazione di un fisco semplice e ordinato, soprattutto rispetto a quello ereditato nel 2022. Questo obiettivo lo vogliamo raggiungere non nell’interesse del governo, ma soprattutto degli italiani».
Dunque l’idea è di proseguire sulla strada della riforma fiscale da lei fortemente voluta. Che giudizio dà dell’attuazione fino ad oggi e in che tempi ritiene di poter completare i testi unici necessari per rendere il sistema più semplice?
«Stiamo portando avanti una riforma epocale: finora 18 decreti legislativi e 5 Testi unici sono stati approvati in via definitiva. Posso dire con orgoglio e lo rivendico a nome del governo, abbiamo abbassato l’Irpef, razionalizzato il sistema e cambiato il rapporto fisco-contribuente: non interveniamo più ex post ma ex ante, dialogando con cittadini e imprese per evitare accertamenti e contenzioso. L’obiettivo é il codice tributario, mai varato nella storia del Paese».
Intanto avete teso una mano al terzo settore?
«Abbiamo prorogato al 1° gennaio 2036 l’esclusione Iva per gli enti del terzo settore, evitando costi amministrativi e gestionali che avrebbero messo in difficoltà migliaia di realtà. È una scelta che dà stabilità e riconosce il ruolo sociale di questo comparto».
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