«Se non prendiamo atto della realtà, dopo la marcia dei trattori» l’Europa si troverà a fare i conti «con decine, centinaia di migliaia di operai della filiera dell’automotive che imporranno il cambiamento». A Bruxelles per una due giorni dedicata a illustrare la proposta italiana sull’auto, il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso ha ribadito la richiesta che il governo sta discutendo con i partner europei, incassando una serie di aperture (da ultimo, nel corso di un confronto ieri, quella del vicecancelliere tedesco Robert Habeck, alle prese con i malumori dell’industria nazionale): anticipare alla prima metà del 2025 la revisione, inizialmente prevista per la fine dell’anno successivo, del regolamento Ue che impone lo stop all’immatricolazione di auto e furgoni a diesel e benzina a partire dal 2035, pilastro del Green Deal.
L’obiettivo? Introdurre da subito dei correttivi; altrimenti «il sogno della transizione rischia di diventare un incubo». L’Italia non esclude il mantenimento del target finale, ma i segnali impongono un cambio di rotta su come arrivarci.
L’INTERLOCUZIONE IN ATTO
Anche le case automobilistiche hanno interpellato la Commissione chiedendo, nello specifico, di spostare più in là una scadenza intermedia che scatta già nel 2025 e impone di avere una flotta con -15% di emissioni di CO2, pena multe salate. Oggi Urso presenterà la proposta ai colleghi titolari dell’Industria dei 27 Stati Ue, riuniti a Bruxelles per il Consiglio Competitività: si tratta di un passaggio intermedio, ha spiegato a margine di un incontro all’Eurocamera con i deputati italiani, in modo da trovare alleati disposti a sottoscrivere un “non paper” congiunto indirizzato alla Commissione, finora fredda davanti all’ipotesi.
Spetta all’esecutivo Ue la decisione finale se riaprire o meno la normativa anzitempo. Il responsabile del Mimit interverrà nel segmento della riunione dedicato al rapporto sul rilancio della competitività Ue nella sfida globale con Cina e Usa realizzato da Mario Draghi, tema che ha evocato a lungo parlando con la stampa. E citando, in particolare, i circa 800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi all’anno che l’ex numero uno della Bce ha suggerito all’Ue per evitare di imboccare la strada di un «lenta agonia».
La necessità di reperire nuove risorse finanziarie, pubbliche e private, rientra fra le tre condizioni indispensabili, secondo Urso, per mantenere la scadenza del 2035 ed evitare un rinvio a una data successiva (ipotesi, questa, che si scontra tuttora con il muro di Berlino e della stessa Bruxelles).
I SOSTEGNI
Gli investimenti comuni immaginati da Urso si tradurrebbero in incentivi per le case automobilistiche ma anche per i consumatori interessati ad acquistare auto “green” a prezzi contenuti. E andrebbero finanziati anche attraverso bond comuni, ha aggiunto; questione che continua a spaccare i governi europei. La seconda condizione riguarda, invece, una causa cara al sistema Italia, cioè quella relativa al ruolo per i biocarburanti e l’idrogeno: la nuova Commissione, su pressing tedesco, proprio in nome della “neutralità tecnologica” si è già impegnata a valorizzare il contributo degli e-fuel, cioè i combustibili sintetici a emissioni nette zero. Un’apertura di credito che Roma vorrebbe vedere anche riconosciuta ai bio-fuel. Infine, ha detto ancora Urso, serve «coniugare la transizione ambientale con quella geopolitica», riducendo le dipendenze: cioè, «creando le condizioni per cui tutto ciò che serve alla produzione “green” sia estratto e lavorato nel continente o comunque in Paesi da cui possiamo avere garanzie di fornitura». In mancanza di queste tre condizioni, per l’Italia non ci sarebbe alternativa a un rinvio della data-limite del 2035 per dire addio alle auto inquinanti.
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