A Palazzo Chigi quel numero lo conoscono bene, altroché. Compare di tanto in tanto sul cellulare personale della premier, ora un messaggio, ora invece uno squillo. «Come stai? Cosa si può fare?». Giorgia Meloni ed Elly Schlein, migliori nemiche della politica italiana, accantonano per un giorno le schermaglie interne. Guardano fuori dall’uscio, lontano, al caos in Medio Oriente e alla guerra che furoreggia tra Israele ed Hezbollah. È lo staff di Meloni a rendere nota la telefonata a metà pomeriggio. Comunicato scarno fino all’osso: «Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha avuto un colloquio telefonico con la segretaria del Partito democratico Elly Schlein sulla crisi in Medio Oriente e sugli ultimi sviluppi». Clima cordiale, informale, è lo stile della casa per le due donne che non hanno visto arrivare, a Chigi come al Nazareno.
La telefonata si chiude con la comune convinzione che bisogna mettere i remi in acqua e lavorare per un cessate-il-fuoco in Libano come a Gaza. Senza il quale ogni altra buona intenzione — la revisione della missione Unifil al confine libanese, la faticosa ritessitura diplomatica per uno Stato palestinese carissima alla sinistra italiana- rimangono pura utopia. Schlein chiede e incalza. È particolarmente interessata al destino dei Caschi blu italiani dell’Onu intrappolati in mezzo agli scontri di fuoco tra Israele ed Hezbollah. E può sembrare strano dall’antimilitarista Elly, ma è così.
IL CONFRONTO
Del resto è questo un grande cruccio anche della presidente del Consiglio che chiede all’intelligence e alla Difesa continui aggiornamenti sulla situazione sul campo nella Blue line, la fascia di territorio su cui insiste il contingente Unifil. Meloni affresca uno scenario. Non proprio ottimista. Da un lato l’incontrollabile Bibi Netanyahu, che tutti sente ma nessuno ascolta nella sua crociata contro l’Iran deciso, forse, a portare fino in fondo: uno strike aereo sulle infrastrutture energetiche e militari della Repubblica islamica, con quel che ne consegue.
Dall’altro l’Iran ferito, umiliato e proprio per questo imprevedibile. E poi i dubbi della comunità internazionale, il lavorio del G7 a guida italiana che ieri all’indomani della riunione convocata da Meloni si è compattato su una nota affacciata sulla polveriera mediorientale. Tra una condanna e l’altra del tremendo attacco missilistico iraniano il documento consegna a Netanyahu un messaggio in bottiglia: «Un pericoloso ciclo di attacchi e ritorsioni rischia di alimentare un’escalation incontrollabile in Medio Oriente, cosa che non è nell’interesse di nessuno». Tradotto: contieniti, non esagerare. Segue un passaggio significativo, chiesto da Roma, sulla missione Onu al confine libanese. «Riconosciamo il ruolo della Forza ad interim delle Nazioni Unite in Libano (UNIFIL) per ripristinare la pace e la sicurezza. Ci impegniamo a rafforzare il nostro sostegno alla missione, in conformità con le pertinenti risoluzioni Onu».
LA PROVA DEL NOVE
Ma torniamo alla telefonata. Diffusa, si diceva, dallo staff della premier anche se non sulla chat ufficiale: segno che tra le righe di un confronto istituzionale c’è stato spazio per un po’ di politica. Una risoluzione comune in Parlamento? L’idea aleggia nell’aria. E l’esperimento è riuscito nei mesi scorsi, quando l’asse Meloni-Schlein ha prodotto una risoluzione unitaria, governo e opposizioni, per un cessate-il-fuoco a Gaza. Non manca l’occasione: la risoluzione che come sempre seguirà le comunicazioni della premier alle camere, alla vigilia del prossimo Consiglio europeo.
Sotto sotto però, manca la volontà di farlo. Due giorni fa la timoniera del Pd, mettendo in stand-by le faide nel campo-largo e il fuoco amico in casa Rai, ha infine rotto gli indugi e dettato la linea diplomatica con una nota. Riassunta in una frase che è apoteosi di equilibrismo politico: «Diciamo basta ai bombardamenti di Netanyahu e ai lanci di missili di Hezbollah». Né né.
Ecco, chi ha parlato con la premier nei giorni scorsi l’ha trovata stupita e insieme divertita di certi tentennamenti a sinistra su quel che accade in Medio Oriente. E il refrain a Palazzo Chigi è questo: «Perché dovremmo dare noi una mano ad Elly?». Sicché la linea dettata ai vertici di Fratelli d’Italia è: lasciate fare. Se il dossier ucraino divide e di tanto in tanto fa litigare il centrodestra, lo stesso si può dire, nel (fu?) campo largo, del dossier mediorientale. Di qui Conte e i rigurgiti anti-sionisti di certa base grillina, di là Schlein sul filo e costretta a mediare. Pop-corn pronti tra i “patrioti” in vista del momento verità in aula.
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