Al Tesoro c’è prudenza. E pure molta. Gli “attendiamo” e i “si vedrà”, si sprecano. Ma dietro quello che sembra quasi un rito scaramantico, si percepisce un certo ottimismo. Il deficit italiano potrebbe scendere sotto la fatidica soglia del 3 per cento già nel 2025 e non nel 2026 come concordato con l’Unione Europea nel Piano strutturale di Bilancio. In quel documento, il governo si è impegnato a ridurre quest’anno il disavanzo al 3,3 per cento. La distanza dal 3 per cento, in “soldoni” sarebbero poco meno di sei miliardi di euro. Ma, e questo è il vero punto, un aiuto determinante potrebbe arrivare dal calo della spesa per gli interessi sul debito pubblico. Quel “dividendo” dello spread che potrebbe portare a una nuova sorpresa positiva nei conti pubblici. Ieri il differenziale con i titoli francesi, ha rilevato Bloomberg, è arrivato a 10 punti base, ai minimi dal 2005. Un dato, ha spiegato l’agenzia di stampa, che «riflette un calo significativo nel rischio percepito da parte degli investitori nell’investire in titoli italiani». L’ultima volta che i rendimenti sono stati pari è stato nel 1998.
LO STUDIO
Per aiutare a capire l’importanza del dato, può venire in aiuto uno studio dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio pubblicato alla fine dello scorso anno, quando lo spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi, viaggiava attorno ai 110 punti base. L’Authority dei conti aveva ricordato come il calcolo del deficit del 3,3 per cento tenesse conto di una spesa per interessi parametrata ad uno spread di 140 punti base, quello registrato mediamente ad agosto dello scorso anno. Con una riduzione “strutturale” di 30 punti base, vale a dire con uno spread a 110, aveva spiegato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, già quest’anno la spesa per interessi sarebbe stata più bassa di 1,7 miliardi di euro. Il punto è che oggi lo spread viaggia sotto gli 80 punti base, vale a dire quaranta punti in meno di quanto stimato dall’Upb. Con quali effetti? Già secondo l’assestamento di Bilancio, approvato il mese scorso, la spesa per interessi sarebbe in calo di 2,4 miliardi. Ma il dato potrebbe essere ancora leggermente sottostimato. Comunque sia, un po’ più della metà delle somme che mancano per arrivare a centrare il 3% di deficit, potrebbero arrivare da questa voce. E il resto? Una parte sicuramente dal buon andamento delle entrate tributarie, che continuano a marciare a pieno regime (il miglioramento già acquisito nei primi sei mesi è di 500 milioni). L’obiettivo insomma, è a portata di mano ed è la ragione per cui il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, avrebbe predicato prudenza con i ministri sulle spese di questo secondo scorcio d’anno. Uscire in anticipo dalla procedura di infrazione infatti, permetterebbe all’Italia di poter attivare la clausola di esclusione dai conti delle spese per la difesa, liberando in questo modo risorse per la prossima legge di Bilancio. E proprio sulla manovra lo stesso Giorgetti nelle ultime settimane ha tenuto incontri con tutti i ministri e anche con i Comuni.
Proprio su quest’ultimo fronte, la prossima manovra dovrebbe affrontare anche il nodo della stabilità finanziaria di questi enti. Non sarebbero all’orizzonte nuovi tagli e il ministero dell’Economia — c’è un tavolo aperto su questo tema tra Mef e Anci — ha aperto alla possibilità di garantire regole più flessibili alle amministrazioni sugli accantonamenti in bilancio per i cosiddetti crediti di dubbia esigibilità: per lo più, cartelle esattoriali di multe e tasse locali che difficilmente gli enti riescono a farsi pagare e per i quali si «congelano» 6 miliardi all’anno.
LA PROPOSTA
Lo scorso 5 agosto il ministro Giorgetti ha incontrato i vertici dell’Anci e l’ipotesi sul tavolo prevede che gli enti che lanciano strumenti o campagne per aumentare la riscossione (il loro magazzino fiscale è pari a 25 miliardi, dei quali 6 «aggredibili») possano calcolare in maniera differente i fondi da accantonare: non più su una media degli ultimi quattro o cinque anni, ma guardando soltanto all’esercizio dell’anno precedente. In questo modo — per tutte le amministrazioni — si libererebbero risorse pari a 600 milioni, da utilizzare per la spesa corrente: la gestione della macchina burocratica, le manutenzioni ordinarie, il pagamento degli stipendi ai dipendenti fino a pezzi importanti del welfare.
Proprio sul fronte del sociale, e sempre nell’incontro di inizio agosto, i Comuni hanno segnalato a Giorgetti che è schizzata verso l’alto la loro spesa per i minori stranieri non accompagnati, per i minori italiani affidati e per il sostegno agli studenti con disabilità nelle scuole dell’infanzia e in quelle primarie. Queste tre voci presentano un’esposizione superiore al miliardo, soltanto per meno di un terzo coperte con trasferimenti statali. In più, i sindaci avrebbero anche annunciano che gli ultimi rinnovi contrattuali costeranno un miliardo in più di spesa per il personale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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