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sostegno a Israele (ma senza nota congiunta)


KANANASKIS (Canada) Doveva essere un G7 “low profile” quello che si apre oggi a Kananaskis, con i Grandi del pianeta riuniti tra le suggestive montagne rocciose dell’Alberta. La linea dei canadesi, che quest’anno ospitano il vertice, era improntata al profilo basso, anche per non indispettire Donald Trump e i suoi umori altalenanti. E così le guerre che continuano a tenere accesi i riflettori del pianeta sui due fronti aperti erano rimaste ai margini del G7: fuori dalle conclusioni finali dal summit che, proprio per evitare sgrammaticature, erano diventate sette dichiarazioni tematiche, con i conflitti volutamente silenziati. 

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IL FRONTE

L’uso del passato è d’obbligo, perché l’offensiva sferrata da Israele a Teheran e il contrattacco del regime degli ayatollah ha sovvertito l’ordine delle cose, con la realtà pronta a sparigliare anche le più miti intenzioni. Il nuovo fronte di guerra è diventato il focus centrale dei lavori degli sherpa, riuniti da due giorni a Kananaskis – blindati nella tenuta anche per via dei grizzly, due avvistati nei paraggi proprio in queste ore – per trovare la quadra, una linea comune che restituisca un’immagine coesa del vertice che, quest’anno, segna il 50esimo anniversario dall’istituzione del gruppo. Silenziando all’occorrenza non solo i conflitti dai documenti, ma anche le divisioni che agitano i 7 Grandi della terra. E che restano, perché non basta certo un colpo di bianchetto a cancellarle. L’offensiva di Israele preoccupa ma vede i leader più o meno d’accordo, sulle stesse posizioni. Con gli States che rinforzano basi Us Navy a difesa di Tel Aviv, la Francia di Emmanuel Macron che si dice pronta a fare la sua parte per proteggere Israele dagli attacchi. E la richiesta trasversale di evitare ogni ulteriore escalation. Eppure, riferiscono fonti diplomatiche impegnate nei lavori del summit, l’unità sulla crisi iraniana non cambia le note dello spartito. Il documento finale resta un miraggio – «ormai è stato quasi definitivamente accantonato» – sostituito dalle dichiarazioni tematiche che, a leggerne alcuni titoli (si pensi solo alla lotta agli incendi), appaiono completamente decontestualizzate dai giorni che ci troviamo a vivere. Il perché è presto detto ed è sintomatico dell’aria che si respira tra le montagne di Kananaskis. «Includere l’attacco israeliano all’Iran dei pasdaran – rivelano fonti diplomatiche – comporterebbe, per forza di cose, affrontare nel documento anche gli altri due conflitti in corso. E lì, a differenza che sull’Iran e il tema della deterrenza, le divisioni tra i leader imploderebbero». Tanto più che le cose per Volodymyr Zelenky sembrano complicarsi a dismisura. Il leader di Kiev sarà in Canada, protagonista di una delle sessione di lavoro del summit sull’Ucraina con il Segretario generale della Nato Mark Rutte. E tenterà di portare a casa, obiettivo già dichiarato, l’ennesimo faccia a faccia con Trump. 

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LA SITUAZIONE UCRAINA

Ma il fronte di guerra iraniano rappresenta per lui una nuova grana. Non solo perché l’attenzione del mondo e dei leader ha rapidamente virato sul nuovo scenario di crisi. Soprattutto perché l’attacco di Israele potrebbe tornare d’aiuto al nemico, con Vladimir Putin tra i pochi a poter ambire al ruolo da mediatore tra Tel Aviv e Teheran. E con tutto l’interesse per farlo, visto che l’Iran è tra i principali fornitori di droni destinati a Mosca. Ma non è certo questo il tempo di mediare. La bandiera rossa della vendetta sventola sulla moschea di Jamkaran, alla periferia di Qom, come un tetro presagio. E Benjamin Netanyahu non sembra aver nessuna intenzione di fermarsi, forte anche dal fronte coeso che, a differenza della divisiva guerra a Gaza, sente dietro di sé. Anche la premier Giorgia Meloni, tra i primi ad arrivare a Kananaskis, ha maturato questa convinzione parlando al telefono con il presidente israeliano. «Sarà una guerra lunga, l’ennesima…», ha confidato con preoccupazione ai suoi. Stasera, prima di prendere parte alla cena coi leader – quando in Italia sarà notte fonda –- la presidente del Consiglio dovrebbe incontrare il britannico Kair Starmer, per il primo bilaterale di una lunga serie di faccia a faccia. Sul tavolo soprattutto le crisi internazionali, con il nodo dell’Ucraina e il rischio concreto che Trump possa smarcarsi.
Ma c’è un altro tema che sta a cuore alla presidente del Consiglio e che qui, tra le montagne dell’Alberta, potrebbe trovare dimora. Se non una soluzione, quanto meno lo spazio per un faccia a faccia chiarificatore. È la partita dei dazi, con la scadenza del 9 luglio che incombe e le trattativa tra Usa e Ue impantanate. A Kananaskis ci saranno sia Trump che von der Leyen. E la speranza che almeno loro depongano le armi. 

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