ROMA È la domanda più ricorrente da almeno due settimane a questa parte. Da quando, cioè, la pagina “Mia moglie” e il sito “Phica.net” sono venuti a galla: come arginare in futuro casi simili di sessismo online e violenza digitale, in un ecosistema, come il web, che sembra incontrollabile? Qualche risposta, a distanza di giorni, comincia ad arrivare. Innanzitutto da parte del governo, dopo la ricognizione avviata dal ministero per la Famiglia, affiancato dall’Interno e dalla Giustizia. Anche se nuove strade di intervento non sono escluse, la prima soluzione che si attende di mettere in campo — spiegano al Messaggero fonti vicine al dossier — è quella fornita dal disegno di legge sull’intelligenza artificiale. Un testo ora in terza lettura al Senato, e che potrebbe arrivare all’approvazione definitiva già la prossima settimana. Il disegno governativo prevede, infatti, l’introduzione del nuovo reato di illecita diffusione di contenuti generati o manipolati con sistemi di intelligenza artificiale. Una disposizione inserita fin dall’inizio nell’articolato, e che è destinata ad essere la prima fiche su cui l’esecutivo punterà per avviare una prima stretta contro gli abusi e la violenza sul web. Il nuovo reato permetterà di punire con la reclusione da 1 a 5 anni chiunque cagioni un danno ingiusto ad una persona «cedendo, pubblicando o diffondendo, senza il suo consenso, immagini, video o voci falsificati o alterati mediante l’impiego di sistemi di intelligenza artificiale e idonei a trarre in inganno sulla loro genuinità». Basterà la querela della persona offesa, ma si potrà anche procedere d’ufficio nel caso in cui il reato venga compiuto nei confronti di persone incapaci, per età o per infermità, o di una pubblica autorità a causa delle funzioni esercitate. Spetterà alla capigruppo di Palazzo Madama, oggi, decidere quando fissare l’approdo in Aula del ddl governativo. Ma intanto anche il Parlamento si prepara a fare la propria parte, come dimostrano le proposte avanzate dalle diverse forze politiche in questi giorni.
STOP ALL’ANONIMATO
Sulla marcatura esplicita dei deepfake generati con l’intelligenza artificiale e sull’obbligo di identificazione digitale su siti e piattaforme degli utenti (tramite Spid, Cie e Idas), punta, ad esempio, il progetto di legge di Noi moderati, a prima firma di Mara Carfagna alla Camera e di Maria Stella Gelmini al Senato. La proposta, presentata ieri, mira a superare l’anonimato pur preservando la libertà di opinione e di espressione dei singoli. Una battaglia condivisa anche dal presidente della Federazione Editori Giornali, Andrea Riffeser Monti: «L’anonimato in rete costituisce uno strumento per eludere le responsabilità legali e favorire comportamenti che nella vita reale sarebbero condannati», ha detto a commento della proposta di Nm. Che, oltre a fornire la definizione di deepfake (qualsiasi tipo di contenuto manipolato con sistemi digitali e di Ia che apparirebbe falsamente autentico), prevede anche la creazione di un reato correlato ad hoc: la diffusione fraudolenta di deepfake, punita con la reclusione da 1 a 5 anni e con sanzioni da 10mila a 100mila euro. Un’azione sul fronte penale e amministrativo che, a detta di Gelmini, deve essere anche accompagnata dalla collaborazione con i principali gestori di piattaforme: «Sarebbe opportuno un tavolo di confronto permanente con i grandi fornitori di servizi su questi temi». Il leader Maurizio Lupi ha anticipato che richiederà la calendarizzazione urgente del provvedimento non appena si riunirà la prossima capigruppo. Intanto oggi la commissione d’inchiesta sui femminicidi aprirà un nuovo filone d’inchiesta sulla violenza online, con l’obiettivo — dopo un ciclo di 21 audizioni — di arrivare a una proposta di indirizzo.
Valentina Pigliautile
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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