Effetto emulazione. Eccolo, il timore che serpeggia al Viminale dopo l’assalto antisemita di Washington, in cui tre giorni fa sono stati uccisi due funzionari dell’ambasciata israeliana negli Usa. Il pericolo, in pratica, che anche nel nostro Paese possano verificarsi episodi violenti contro gli ebrei. A parlarne, dal palco del Festival dell’Economia di Trento, è il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Nessun allarmismo: solo la consapevolezza di quanto sia necessario tenere alta la guardia, innalzando ulteriormente l’attenzione su potenziali obiettivi sensibili già oggetto di allerta. Come il quartiere ebraico di Roma, dove nei giorni scorsi le misure di sicurezza sono state rafforzate.
«Sicuramente da parte nostra c’è da temere l’effetto emulazione», avverte Piantedosi. Gli strumenti difensivi in ogni caso sono già in campo: «Noi abbiamo, per la professionalità di polizia e magistratura, un sistema molto avanzato per la prevenzione di fenomeni di questo tipo», prosegue il capo del Viminale. Uno scudo «preventivo» per individuare soggetti a rischio radicalizzazione che finora ha funzionato, consentendo «l’espulsione di 197 persone per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato». Anche grazie al ruolo del Comitato di analisi strategica del terrorismo per lo scambio di informazioni. «Una specificità tutta italiana – sottolinea Piantedosi – che il mondo guarda con interesse».
Il ministro si sofferma poi sulla bufera che nei giorni scorsi si è scatenata attorno al decreto Infrastrutture, con la norma sui controlli antimafia per il ponte di Messina in deroga alle procedure ordinarie cancellata su input del Colle, ma che la Lega insiste per ripresentare. «Sbavature metodologiche», le definisce Piantedosi: «Ci sono state polemiche e fraintendimenti» dovute, assicura l’inquilino del Viminale, a un «deficit di comunicazione» e un «errore di metodo». Ma «siamo tutti orientati a creare il sistema migliore, e lo faremo, per preservare l’opera da interessi criminali».
LA POLEMICA
Infine, l’alert su una ripresa di «flussi migratori importanti» dalle coste della Libia nelle ultime settimane. Col rischio di «strumentalizzazioni» dei canali da parte del terrorismo. A innescare la polemica però è un altro passaggio dell’intervista al ministro. Quello in cui Piantedosi segnala la necessità di «un’alternativa» all’extrema ratio dello scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose. Uno strumento che, dal 1991, ha prodotto 401 scioglimenti, in media uno al mese. Di qui la possibilità di valutare altre strade, «che già esistono», da mettere in campo quando le formule di contaminazione sono occasionali o circoscritte e soprattutto c’è stato il rinnovo della gestione dell’ente». Una sorta di «accompagnamento – spiega Piantedosi – che valorizzi le istituzioni democratiche». Soluzione che però non piace a Pd e Avs. Critica la dem Enza Rando: «Per contrastare le infiltrazioni mafiose nei Comuni non ci sono vie di mezzo, gravi le parole del ministro». Duro anche Filiberto Zaratti: «Se una commissione ministeriale ha stabilito che un’amministrazione comunale è infiltrata dalle mafie, sarebbe grave immaginare vie di mezzo».
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