Quasi un miliardo in dieci anni per affrontare in modo strutturale la crisi idrica. È il piano ambizioso su cui da mesi è al lavoro il governo e che presto – secondo quanto confermano fonti dell’esecutivo al Messaggero – diventerà realtà con un apposito Dpcm che prevedrà la ripartizione, per la quota di stanziamento assegnato alla presidenza del Consiglio dei ministri, del fondo per gli investimenti infrastrutturali, istituito con la legge di bilancio 2025.
Un ulteriore tassello verso un piano idrico nazionale, e una risposta alle tante situazioni di emergenza che attanagliano da anni numerosi territori del Belpaese, complicando la vita di imprese e famiglie.
IL LAVORO
Il decreto, ad oggi al vaglio finale del ministero dell’Economia, come si diceva, è frutto di una lungo lavoro di mediazione portato avanti dal Commissario straordinario nazionale per la scarsità idrica, Nicola dell’Acqua. E avviato con un’operazione di ricognizione dei dati in stretta collaborazione con le Autorità di bacino. Un’attività di razionalizzazione che ha permesso di mettere a fuoco le priorità d’intervento. I 980 milioni previsti per la programmazione dal 2027 al 2036 – un impegno annuo di circa 100 milioni — verranno gestiti dalla presidenza del Consiglio dei ministri e destinate esclusivamente a opere idriche strategiche sull’intero territorio nazionale, definite proprio con il supporto delle Autorità di bacino distrettuali.
Ma come verranno distribuite le risorse? Tre i principali criteri seguiti per l’assegnazione dei fondi: il livello di severità idrica degli ultimi anni, la popolazione residente e l’estensione territoriale dei distretti idrografici. Un metodo che ha portato a delineare, in seconda battuta, la quantificazione dei “totali”: oltre 300 milioni verranno destinati all’Appennino meridionale, 196 milioni all’Appennino centrale e 221 milioni al bacino del Po. E ancora: alla Sicilia andranno 82 milioni, 56 milioni alla Sardegna, 78 milioni all’Appennino settentrionale e 40 milioni alle Alpi orientali.
Risorse che, secondo le previsioni, permetteranno di avviare quaranta interventi, tra cui, per fare un esempio, la manutenzione straordinaria degli acquedotti Coghinas 1 e 2 in Sardegna, il recupero funzionale dell’invaso del Camastra in Basilicata e l’ammodernamento di impianti irrigui strategici nell’Italia centrale. Ma anche il completamento dello schema idrico di Montedoglio, la connessione idrica del Biferno-Fortore in Molise e Puglia, e interventi sugli invasi siciliani di Garcia, Comunelli e Nicoletti. Oltre alla ripartizione delle risorse e alla mappa degli interventi, i tecnici hanno fatto di conto sui possibili impatti del piano. L’aspettativa è quella di riuscire a recuperare oltre 25 milioni di metri cubi d’acqua all’anno grazie alla riduzione delle perdite lungo le reti, con un aumento della portata disponibile di circa 950 litri al secondo e il recupero di oltre 536 milioni di metri cubi di volumi idrici immagazzinabili. Il piano consentirà di migliorare la qualità e la continuità del servizio idropotabile per circa 7 milioni di cittadini, ed estendere le aree irrigue di almeno 134.000 ettari, con ripercussioni positive sulla produttività agricola e sulla sicurezza alimentare. Un cambio di marcia, in termini di efficienza e sicurezza per un Paese, come l’Italia, che ogni anno perde oltre il 40% dell’acqua potabile lungo le reti.“Continuità” e “strategia di lungo periodo” la parole d’ordine del piano che, con investimenti in opere infrastrutturali, nuove tecnologie e interconnessioni tra schemi idrici — pensati per avere ricadute sia sul piano potabile che irriguo – mira a uscire fuori dalla mera gestione emergenziale.
Un cambio di mentalità possibile anche grazie all’istituzione, prevista per legge, degli osservatori permanenti sugli utilizzi idrici, basati su una strategia preventiva incentrata sui dati e sulla cooperazione con i territori.
L’EREDITÀ
Per molto versi, però, il dpcm di Palazzo Chigi è anche una sorta di “eredità” della struttura commissariale a guida di Dell’Acqua: se il mandato del commissario – in scadenza a fine dicembre – non verrà rinnovato, chi prenderà le redini dopo di lui non dovrà partire da zero, ma potrà fare affidamento su un quadro di risorse e di interventi già predefinito. Una prospettiva che si interseca con il cambio dei vertici dell’Arera, per cui il commissario Dell’Acqua, gradito a Palazzo Chigi, è dato da mesi in pole per la presidenza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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