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«Si poteva fare di più»


Tassi più bassi significa meno interessi sul debito. Per la manovra è un aiuto. Andrà quantificato nel nuovo quadro di finanza pubblica che sarà approvato martedì. Sugli impatti però per ora le bocche sono cucite. Chi invece parla, ai vertici del governo, ha da ridire. «Serviva più coraggio», sospira Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri di Forza Italia, commentando il taglio dei tassi di un quarto di punto deciso dalla Banca centrale europea ieri pomeriggio. E confessando la delusione per una scelta cauta, troppo cauta: «Dobbiamo puntare sulla crescita e l’inflazione è in calo. La Bce deve poter fare di più». È un sentimento diffuso, ai piani alti di Palazzo Chigi. Anche la premier Giorgia Meloni, dal taglio atteso da mesi a Francoforte, si aspettava maggiore coraggio. Una boccata di ossigeno a pieni polmoni per ritagliare risorse in vista della finanziaria. Ha invece prevalso la prudenza e per questo la notizia non fa fare salti di gioia ai vertici del governo riuniti in mattinata per fare il punto sulla manovra e il Piano strutturale da inviare a Bruxelles. Riprende Tajani, il più duro contro la Banca centrale che vorrebbe addirittura riformare dalle fondamenta: «La Bce deve poter fare di più. Credo che si debba modificare il Trattato che istituisce la Bce che non può essere solo guardiana dell’inflazione, deve poter governare la moneta per sostenere la crescita. Da un punto di vista monetario si deve poter fare di più. Se il costo del denaro è eccessivo, ed è eccessivo, non c’è motivo per tagliare solo lo 0,25». Si accoda da Fratelli d’Italia il ministro delle Imprese e il Made in Italy Adolfo Urso: «La Bce ha deluso le aspettative, ancora una volta. Il taglio è insufficiente ed è già stato scontato dal mercato». Giancarlo Giorgetti per ovvie ragioni non può commentare le scelte di un organismo indipendente. E ai ministri radunati a Chigi continua a predicare prudenza. Ieri il titolare dell’Economia ha illustrato le linee guida del Piano strutturale di Bilancio che sarà presentato alla Commissione europea a ottobre, dopo il passaggio parlamentare. L’Italia chiederà di poter estendere il tempo per “aggiustare” i conti da quattro a sette anni, in modo da dover contenere i sacrifici richiesti dalle nuove regole europee.Ma nonostante il passaggio stretto, nelle stanze del governo si respira un certo ottimismo sui prossimi passaggi. La riduzione dei tassi nonostante tutto aiuta. Certo, se il percorso fosse più accelerato sarebbe meglio. Soprattutto perché, è il ragionamento che si fa nel governo, l’Italia ha ormai una delle inflazioni più basse dell’Unione europea e dunque soffre di una politica maggiormente restrittiva che nel vecchio continente. I tassi di interesse reali italiani sono più alti rispetto a Francia e Germania. Uno svantaggio competitivo per le imprese che devono finanziare i propri investimenti. Anche la Confindustria, che oggi pubblicherà l’indagine del Centro Studi, ha sempre ribadito questo concetto. Fatto salvo il contenimento dell’inflazione, una politica monetaria troppo restrittiva comprime gli investimenti, quindi l’economia. Ergo, la cura uccide il malato, invece di guarirlo. Ma dal punto di vista dei conti pubblici, la decisione della Bce di ieri è comunque un aiuto. La riduzione di 0,25 punti, e la previsione di altre riduzioni nei prossimi mesi, dovrebbero permettere di rivedere il costo degli interessi iscritto a Bilancio e liberare risorse in vista della prossima manovra. Ma anche favorire il percorso di riduzione del debito che dovrà essere indicato nel Piano Strutturale di Bilancio. 

Il nodo del debito

Nell’ultimo Def, il documento di economia e finanza, per gli oneri sul debito è previsto che lo Stato spenda quasi 89 miliardi di euro, oltre quattro in più di quest’anno. Una cifra enorme. Qualche giorno fa, intervenendo a Cernobbio, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aveva definito quello dei tassi di interesse sul debito italiano un «termometro opinabile», soprattutto alla luce della «storia trentennale» del Paese, con «avanzi statali primari annui e con un debito pubblico cresciuto in larga misura dal 1992, principalmente a causa proprio degli interessi». L’Italia insomma, sconterebbe un giudizio non del tutto equo dai mercati e dalle agenzie di rating, che non tengono conto della forza relativa dell’economia italiana e della ricchezza delle famiglie. Di interessi troppo elevati, aveva parlato anche il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta. Il Paese, aveva ricordato, spende per gli interessi sul debito più che in istruzione. 

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