Sulla spinta degli ultimi rinnovi contrattuali e del calo dell’inflazione, i salari nominali dovrebbero crescere in Italia del 2,6% nel 2025 e del 2,2 nel 2026. Lo si scopre leggendo i dati illustrati dal senior economist dell’Ocse Andrea Bassanini, ieri durante la presentazione italiana, al Cnel, dell’Employment Outlook 2025, pubblicato lo scorso 9 luglio dall’organizzazione dei Paesi più sviluppati.
In Italia è molto accesa la discussione sul potere d’acquisto dei salari, visto che i maggiori istituti di ricerca concordano che dal 1991 al 2023 i redditi reali sono scesi del 3,4% contro un aumento del 30 per cento nei paesi dell’area Ocse. Dietro questa tendenza un combinato disposto tra le difficoltà riscontrate nei rinnovi dei principali contratti di categoria, la bassa produttività, senza dimenticare le ultime infiammate inflattive. Anche per questo l’attuale governo ha spinto sia su una serie di misure fiscali (come la riduzione del cuneo fiscale) sia sul rinnovo dei contratti del pubblico impiego, stanziando 20 miliardi nelle due ultime manovre.
Questi aumenti garantirebbero ai lavoratori italiani guadagni in termini reali, dato che l’inflazione è prevista al 2,2% nel 2025 e all’1,8% nel 2026. «I salari reali stanno crescendo praticamente in tutti i paesi dell’Ocse, ma nella metà di essi — ha spiegato Bassanini — sono ancora inferiori ai livelli dell’inizio del 2021, prima dell’impennata dell’inflazione che ha seguito la pandemia». Per aggiungere: «In Italia c’è stato un aumento relativamente consistente nell’ultimo anno, ma ciò nonostante all’inizio del 2025 i salari reali italiani erano ancora inferiori del 7,5% rispetto al 2021. I redditi da lavoro reali annuali in Italia sono scesi del 3,4% tra il 1990 e il 2023. Nello stesso periodo sono cresciuti di circa il 50% negli Stati Uniti e di circa il 30% in Francia e Germania».
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