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rischio instabilità anche alla Camera. E Calenda sarebbe decisivo


Numeri e simulazioni alla mano, c’è un grande dato che emergerebbe dalle elezioni Politiche, se si votasse con l’attuale legge elettorale, alla luce degli attuali sondaggi e con la scorta dei risultati nei collegi maggioritari del 2022: l’Italia tornerebbe ai governi Prima Repubblica che però sono andati molto in voga anche nella Seconda. Agli esecutivi tecnici, di intese più o meno larghe, di coalizioni innaturali o frutto della contingenza, alle maggioranze di più o meno responsabili. All’instabilità, politica e di sistema, quando invece – da tre anni a questa parte – almeno di un aspetto ci viene (come Italia) dato atto: siamo un Paese stabile, con una maggioranza a volte litigiosa sì (competition is competition, spesso più tra alleati che tra avversari) ma non in preda ai cedimenti di questo o quello, ai Turigliatto o agli Scilipoti – con tutto il rispetto – di turno. Realtà frutto di una di quelle circostanze che si verificano una volta nella vita: da una parte un’alleanza solida, quella di centrodestra, che sta insieme ormai da oltre 30 anni; dall’altra lo spezzatino del centrosinistra che riuscì a presentarsi a settembre 2022 diviso in tre rivoli: Pd con Avs e +Europa, M5S da solo, Renzi con Calenda. Risultato, man bassa di Fdi-Lega-Fi-Nm ai collegi uninominali, maggioranza sufficientemente larga sia alla Camera che al Senato.

IL PRECEDENTE

Un caso appunto. Almeno a proiettare sul 2027 quei risultati lì. Il centrosinistra sembra aver imparato la lezione e così la spinta «testardamente unitaria» di Elly Schlein ha quasi stabilizzato l’alleanza con M5S (mai dire mai, con Conte) e ha ricucito le ferite con Renzi, tra una partita del cuore e l’altra. Situazione che cambia, e molto, i possibili risultati elettorali. Non solo al Senato, come si è sempre detto, ma dove il calcolo ad oggi è praticamente impossibile (per l’assegnazione dei seggi a Palazzo Madama contano i risultati specifici regione per regione) ma anche alla Camera dove, secondo le simulazioni più aggiornate, si arriverebbe ad un sostanziale pareggio: 192 seggi al centrodestra, 180 al centrosinistra, con ovviamente possibili oscillazioni in più o in meno. Nessuno, comunque, avrebbe la maggioranza assoluta. O al massimo l’avrebbe molto risicata.

LA SIMULAZIONE

Certo, in mezzo ci sono tante variabili che rendono il calcolo suscettibile di modifiche, ma le cifre più o meno sono queste. Secondo l’ultima media dei sondaggi di Youtrend, il centrodestra sarebbe al 48,8%: Fdi al 30,9%, Fi all’8,9%, Lega all’8,2%, Noi Moderati a 1,3%. Sul proporzionale, seggio più seggio meno, prendendo a riferimento il coefficiente del 2022 (ma poi dipende dall’affluenza generale), sarebbero 82 deputati a Fdi, 24 a Fi, 22 alla Lega. Totale 128, 14 in più dei 114 del 2022 (rispetto ad allora, Fdi sarebbe in crescita). Il centrosinistra, inglobando M5S, è più o meno stabile: Pd, dato al 21,9% e Avs al 6,9% salgono rispetto a tre anni, ma M5S sarebbe in calo (dal 15,4% all’attuale 12% stimato). E in più c’è Renzi. Totale: 109 seggi nel proporzionale, come nel 2022. Quello che cambierebbe, e di molto, sarebbe la partita sull’uninominale. Il centrodestra fece man bassa: 121 a 22 (mettendo insieme i 12 presi da Pd/Avs/+Europa e i 10 di M5S). Se il centrosinistra fosse andato insieme, come dovrebbe accadere tra un anno e mezzo, la coalizione di governo potrebbe scendere a 64 deputati e le opposizioni salire a 71. Certo, come detto in mezzo ci sono tante variabili. I sondaggi saranno rispettati? Nei singoli collegi ci possono essere spostati e/o scostamenti? Quanti italiani voteranno? Di certo, però, due aspetti. Uno: Calenda, con un drappello di una decina di parlamentari potrebbe diventare decisivo. Due: affidarsi a questa legge elettorale per avere una maggioranza stabile è come giocare alla roulette russa.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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