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Regionali, il centrosinistra e la forza del pluralismo


C’è un filo rosso che attraversa questi mesi di​​​​​​ lavoro del Partito Democratico e del centrosinistra: l’unità come scelta strategica, non come espediente tattico. È la promessa, mantenuta, del Pd a guida Schlein, impegnato a costruire alleanze solide e plurali, capaci di parlare al Paese reale e di contendere alla destra il governo dell’Italia. Questa unità ha un contenuto, non è una foto di gruppo. Nasce dall’intreccio tra specificità territoriali e una visione sociale comune. I suoi cardini sono chiari: sanità e scuola pubbliche come diritti universali, così come da Costituzione agli articoli 32 e 34, un lavoro dignitoso e meglio retribuito, sempre dalla nostra Costituzione all’articolo 36, così come la tutela dell’ambiente e delle future generazioni (art. 9) dentro un’idea di sviluppo sostenibile. È su questi assi che il centrosinistra si compatta e si allarga.

Unità non è mediazione al ribasso: è responsabilità verso il Paese. C’è chi descrive l’unità come compromesso che sbiadisce le identità. E qualcuno in Campania o in Toscana nei giorni scorsi lo ha criticato. Così come è avvenuto nelle ore precedenti le chiusure delle intese nelle Marche, in Calabria o in Veneto. Invece è l’opposto: l’unità costringe a scegliere le priorità, a verificare la coerenza delle proposte, a misurarsi con la realtà sociale. Non somma aritmetica, ma somma vettoriale: orienta forze diverse nella stessa direzione – diritti, uguaglianza, sviluppo – e per questo aumenta la capacità di incidere. Il punto politico è semplice: senza unità non c’è alternativa. E, senza alternativa, la destra continuerà a usare “i muscoli dei numeri” per strozzare il confronto, salvo poi andare in affanno quando le opposizioni si muovono insieme sulle grandi questioni sociali ed economiche, come abbiamo fatto in Parlamento.

Per questo vanno respinti i veti — che vanno superati in questi giorni in Puglia — a maggior ragione, poi, se diventano veti identitari e, ancora di più, le polemiche strumentali. Tutto questo non aiuta i cittadini ma aiuta solo la destra. Le grandi sfide sociali che tengono insieme la coalizione necessitano di un patto politico forte. L’unità è credibile se si traduce in un’agenda riconoscibile. Sanità pubblica come diritto e non privilegio. Le Regioni da sole non ce la fanno e se guidate dalla destra assecondano privatizzazioni selvagge dei servizi alla persona. Per questo serve un piano straordinario per abbattere le liste d’attesa con assunzioni stabili nel SSN e il rafforzamento dei presidi territoriali. Ma tutto questo passa per un netto stop alle privatizzazioni striscianti della destra: la sanità pubblica deve tornare ad essere la prima scelta, non l’ultima speranza. E le Regioni sono in prima linea. Scuola, università e ricerca: l’ascensore sociale funziona solo se c’è tempo pieno, edilizia scolastica d’avanguardia, contrasto alla povertà educativa, borse di studio e investimenti in ricerca e innovazione. Questi sono punti identitari delle Regioni di centrosinistra al voto.

Così come lavoro e salari garantiscono dignità e sicurezza. La battaglia sul salario minimo va fatta ad ogni livello, fino a quando la destra non cederà in Parlamento. Le Regioni possono far da argine ai contratti pirata e ai working poor per le competenze proprie. Fare la battaglia sul salario minimo, in Parlamento, nelle piazze ma anche con le principali Regioni di centrosinistra dà molta più forza. Ambiente e sviluppo: la transizione che crea opportunità. Il Piano clima-energia accanto alla rigenerazione urbana, che fa del trasporto pubblico, della qualità dell’aria e della tutela del suolo e dell’acqua dei punti fermi, sono la cifra del comune sentire dei progressisti. La filiera industriale verde ne è una naturale conseguenza. Tutto questo potrebbe non essere realizzabile senza una cornice fatta di diritti, legalità e coesione. Senza questi principi non c’è la società alternativa alla destra di Meloni, oggi al governo in Italia, o alla destra trumpiana alla guida dei nazionalisti nel mondo. Questa agenda non è un elenco di buone intenzioni: è la grammatica comune che rende possibile una coalizione coerente di centrosinistra che Elly Schlein ha voluto testardamente unitaria dal primo giorno di segreteria. Con salari drammaticamente bassi, liste d’attesa che esplodono, una crisi climatica che non si traduce più solo in un grafico, ma in alluvioni e frane, l’unità del centrosinistra non è una bandiera, ma una necessità del Paese.

La destra governa con l’inerzia dei numeri; il centrosinistra vince solo se offre una direzione, una speranza, una maggiore giustizia sociale. L’unità è già una vittoria politica perché sposta il baricentro del dibattito sui bisogni reali. È la scelta di chi vuole cambiare e non contemplare; di chi sa che la pluralità è una forza, non un impaccio; di chi mette i diritti universali e l’uguaglianza sostanziale al centro della propria proposta. Il Pd in tutte le Regioni ha deciso di guidare questo percorso con coerenza. Non per un equilibrio di palazzo, ma per dare all’Italia un’altra possibilità: una coalizione che unisce, un progetto che include, un governo che migliora la vita delle persone. L’unità non è retorica: è la strada maestra per cambiare il Paese da sinistra. Ecco perché chi prova, o ha provato, a minare il progetto unitario o sottovaluta la sfida complessiva che abbiamo di fronte o, di fatto, finisce per fiancheggiare la destra, che pur essendo divisa su tutto riesce a compattarsi senza alcun collante programmatico, solo per un patto di potere. Per queste ragioni non consentiremo a nessuno di indebolire o incrinare l’unità delle forze politiche che lavorano per l’alternativa alla destra. L’obiettivo è aprire una nuova stagione politica con l’unità come condizione della vittoria e del cambiamento.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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