L’Ue ricomincia da tre. La popolare tedesca Ursula von der Leyen, 65 anni, ancora alla presidenza della Commissione, l’esecutivo comune, il socialista ed ex premier portoghese per quasi un decennio António Costa, 62, alla guida del Consiglio europeo, il summit dei leader, e la premier estone liberale Kaja Kallas, 47, come Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, prima esponente dell’est a prendere le redini della diplomazia Ue. Un nome ciascuno nell’assegnazione dei ruoli di vertice fino al 2029, insomma, per ogni partito della maggioranza di larghe intese e pro-Ue formata da Ppe, S&D e Renew Europe, che nell’Europarlamento vanta poco meno di 400 seggi (su 720), e che tiene conto pure conto dell’equilibrio geografico e di genere.
I sei leader-negoziatori che hanno tenuto le fila della trattativa per conto delle tre famiglie politiche hanno validato ieri, in videoconferenza, l’accordo sul tridente d’attacco, che dovrà, adesso, essere approvato formalmente dai capi di Stato e di governo dei 27 Stati Ue quando tornano a riunirsi, domani e venerdì, a Bruxelles: per i popolari c’erano i premier di Polonia e Grecia Donald Tusk e Kyriakos Mitsotakis, per i socialisti il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, mentre per i liberali (la formazione più “acciaccata” tra le tre, visto che sono scivolati al quarto posto nell’Eurocamera alle spalle dei conservatori dell’Ecr), il capo del governo olandese uscente Mark Rutte, prossimo a traslocare al quartier generale della Nato, e il presidente francese Emmanuel Macron, atteso alla difficile prova delle legislative anticipate in patria. In assenza di candidature alternative, il pacchetto è lo stesso già testato una settimana fa, alla cena informale tra i leader. Tra gli ultimi nodi da sciogliere, quello relativo al mandato di Costa come successore di Charles Michel alla presidenza del Consiglio europeo, che sulla carta è di due anni e mezzo rinnovabili: il Ppe rivendicava di mettere nero su bianco una rotazione in favore di un proprio esponente, ma l’ipotesi staffetta dovrebbe essere (perlomeno per ora) tramontata. Per ufficializzare l’intesa, al summit che inizia domani basterà la maggioranza qualificata: cioè almeno 15 Paesi, purché rappresentino come minimo il 65% della popolazione europea. È capitato, nella storia recente, che il nome prescelto per la presidenza della Commissione non ottenesse il sì di tutti i leader nell’ora dell’investitura: dieci anni fa, a Jean-Claude Juncker mancarono i voti del britannico David Cameron (che di lì a poco avrebbe convocato il referendum sulla Brexit) e dell’ungherese Viktor Orbán.
I NODI DA SCIOGLIERE
Il magiaro, senza sorprese, dovrebbe tornare a puntare i piedi anche stavolta: «L’accordo che il Partito popolare europeo ha stretto con la sinistra e i liberali va contro tutto ciò su cui si fonda l’Ue. Invece dell’inclusione, si semina la divisione. I vertici Ue dovrebbero rappresentare tutti gli Stati membri, non solo la sinistra e i liberali», ha scritto su X, l’ex Twitter. Orbán non appartiene a nessuna delle principali famiglie politiche Ue, mentre i conservatori esprimono, tra i leader, Giorgia Meloni e il collega ceco Petr Fiala. Incassata la nomina da parte dei capi di Stato e di governo, von der Leyen dovrà, tuttavia, ancora passare un test per avere in pugno il bis al vertice di palazzo Berlaymont, cioè il voto di conferma a maggioranza assoluta (361 è il numero magico), nel quale rischia qualche sorpresa visto che è a scrutinio segreto e ribelli e franchi tiratori sono in agguato. Il punto non è stato inserito ancora all’ordine del giorno, ma la calendarizzazione potrebbe avvenire già il 18 luglio, cioè due giorni dopo l’insediamento dell’emiciclo di Strasburgo. In quell’occasione, come primo adempimento, l’Eurocamera dovrebbe riconfermare per altri due anni e mezzo la popolare maltese Roberta Metsola alla presidenza, il cui nome — per quanto formalmente al di fuori dell’intesa politica sui “top job” — è stato già blindato dai rappresentanti della euro-maggioranza. Tra gli accordi, c’è anche quello interno ai Socialisti. Il Pd, pur avendo la rappresentanza più numerosa, ha rinunciato alla guida del gruppo, riconfermando la la spagnola Iratxe Garcia Perez (e puntando alla presidenza dell’Europarlamento nel 2027).
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