Tutti al mare. Vietato presentarsi. Giorgia Meloni ha in serbo una sorpresa per Elly Schlein: mandare all’aria la battaglia referendaria dell’8 e del 9 giugno, i cinque quesiti — quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza — su cui la segretaria dem e tutta l’opposizione chiedono di esprimersi ai propri elettori. Nella convinzione, ma forse è solo una speranza, che il pellegrinaggio alle urne per cancellare il Jobs Act compatti i ranghi delle minoranze. La premier invece ha altri piani.
L’INPUT DALL’ALTO
Li ha resi noti ieri il suo partito con una “nota informativa” redatta dai vertici — in regia c’è sempre il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari — per i parlamentari di via della Scrofa. Titolo: «Referendum, scegliamo l’astensione». Più chiaro di così non si può. Insomma il referendum non s’ha da fare. Una scelta «consapevole» ci tengono a precisare gli autori del dossier, puntando il dito sulla «ipocrisia» e sul «doppiopesismo» della sinistra italiana. Prima entusiasta sostenitrice della riforma del lavoro firmata Renzi, ora alla guida della campagna referendaria per affossare quanto ne rimane.
Da giorni sui social di FdI si susseguono infografiche e meme a canzonare “Elly”, le «idee poco chiare e molto confuse» dei democratici sul lavoro. Però ora le cose si fanno serie e l’input è partito dai piani altissimi: l’8 e il 9 giugno le urne devono restare deserte. Raggiungere il quorum, la metà degli aventi diritto più uno, non era un’impresa semplice.
Ora lo sarà ancora meno, se il tam-tam dei “Fratelli” e si suppone di tutto il centrodestra riuscirà nell’intento di neutralizzare il voto. Stop ai licenziamenti illegittimi, addio ai contratti a termine, il referendum sbianchetta alcuni dei pilastri della riforma-bandiera di Renzi. Che ovviamente non apprezza la frenesia del campo-largo a guida Conte-Schlein: «Una campagna ideologica» rispondeva ieri a Landini il senatore di Rignano intervistato dal Corriere. Sul punto le distanze con la destra a Palazzo Chigi, evidentemente, non sono così siderali.
Tutto pronto, in casa Fratelli d’Italia, per l’astensione di massa alle urne. Senza contare che gli elettori saranno chiamati a rispondere su un quinto quesito, il dimezzamento dei tempi per la concessione della cittadinanza italiana, battaglia che certo non scalda i cuori del centrodestra. Dove pure convivono sensibilità assai diverse sull’immigrazione. Per dare un’idea. Oggi si apre la settimana del decreto Albania votato in Parlamento e lo stato maggiore di Forza Italia si dà appuntamento alla Camera per un convegno, insieme all’Associazione lavoratori stranieri e l’Inps, sulla legalità e «l’integrazione». Sono altri però i nodi politici da sciogliere. Il più intricato si chiama Regionali.
Un vertice di maggioranza con Meloni è nell’aria. E nelle retrovie la macchina del centrodestra per le amministrative d’autunno si è già messa in moto. Una sorpresa potrebbe arrivare dal Veneto. La premier e gli altri leader della maggioranza stanno seriamente valutando l’ipotesi di un rinvio delle elezioni nella Regione locomotiva del Nord-Est. La giunta di Luca Zaia è stata di recente preavvisata sulla possibilità che il voto cada la seconda settimana di novembre. Ma via via prende corpo un piano B: spostare il voto a marzo del 2026, come peraltro prevede la legge regionale veneta. Il Viminale ha chiesto un parere al Consiglio di Stato ed è ancora in attesa di una risposta. Il punto però è tutto politico.
LO SCAMBIO LOMBARDO
Meloni tiene molto alla conquista del Veneto post-Zaia dove FdI ha sfiorato il 30 per cento alle scorse politiche. Ma sa al tempo stesso che Matteo Salvini potrebbe faticare a tenere il partito senza un candidato leghista. Ecco allora montare l’idea di un rinvio, per avvicinare il voto veneto alle urne lombarde previste nel 2027 e aprire all’uno-due tra FdI e Lega, opzionare ognuno un pezzo del Nord Italia.
Si vedrà. Ieri la premier è atterrata a Milano dopo un week end di relax, di ritorno da un soggiorno in Trentino. In serata ha fatto la sua apparizione sul palco reale del Teatro della Scala, tailleur nero e capelli raccolti, affiancata dal titolare del Mef Giancarlo Giorgetti, il governatore di Bankitalia Fabio Panetta e il sindaco Beppe Sala. In scena brani di Verdi e Puccini, dal Nabucco alla Bohème, nello spettacolo che apre il vertice annuale dell’Asian Development Bank (Adb).
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