Parola d’ordine: concentrare gli sforzi sulla grande evasione e limitare gli accertamenti sui contribuenti a “basso rischio”. Con la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» del decreto correttivo sul concordato preventivo, il governo, che a inizio maggio scorso aveva congelato la riforma del Redditometro, manda in pensione per sempre questo strumento (peraltro inutilizzato dal 2018, quando il governo Conte I aveva rimandato la sua applicazione alla definizione di nuovi criteri) e inaugura la stagione dell’accertamento sintetico 2.0. L’obiettivo, già manifestato dalla premier, Giorgia Meloni, era quello di mettere a punto un meccanismo capace non più di colpire a raffica ma di andare a puntare solo sui grandi scostamenti.
COME FUNZIONA
E, con questa strategia in testa, è stato introdotto un doppio paletto: prima di chiedere spiegazioni al contribuente sulla incongruità della sua dichiarazione, da un lato viene confermato che lo scostamento tra reddito ricostruito attraverso le spese sostenute e reddito effettivamente dichiarato deve essere almeno il 20%, dall’altro c’è un’ulteriore limitazione. E cioè lo scarto deve essere superiore almeno a dieci volte all’assegno sociale annuo (attualmente pari 6.947,33 euro), ossia poco meno di 70 mila euro. Facciamo l’esempio di un contribuente che abbia dichiarato al fisco 20 mila euro di reddito. Con le vecchie regole, i controlli sarebbero scattati in presenza di un reddito stimato, ovvero desunto dal suo tenore di vita, superiore a 24 mila euro (il 20% di 20 mila è appunto 4 mila euro); con il nuovo decreto al contrario, fino alla soglia dei 69 mila e spiccioli gli accertamenti non partono. In questo quadro resta valida la lista delle spese soggette a controlli (dal mutuo all’affitto, dalle bollette alle spese per elettrodomestici, abbigliamento e alimenti). E resta salva, ovviamente, per il contribuente, la possibilità di difendersi dai sospetti dei fisco. In che modo? Attraverso tre strade. Chi è oggetto di un accertamento può tentare di dimostrare che la stima sia sbagliata (e che dunque abbia speso meno di quanto gli viene contestato). In secondo luogo può cercare di provare di aver utilizzato, attingendo ai risparmi accumulati nel tempo, dei soldi messi da parte negli anni precedenti. La terza via è dimostrare che il finanziamento delle spese, si legge nella norma, «è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d’imposta», oppure con «redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta» o ancora con denaro «di soggetti diversi dal contribuente» e dunque con soldi non propri. «L’obiettivo di fondo del governo e del viceministro Leo — spiega Lino Ricchiuti, vice-responsabile del Dipartimento Imprese e mondi produttivi di Fratelli d’Italia — resta quello di andare a caccia dei grandi evasori, ovvero di coloro che manifestano un alto o altissimo tenore di vita ma si nascondono totalmente al fisco dichiarando poco o nulla. L’idea alla base di questo nuovo strumento — prosegue il parlamentare — è quella di innalzare la soglia di scostamento tra spese sostenute e redditi dichiarati, introducendo al contempo un limite compreso tra i 50 mila e gli 80 mila euro. In questo modo, si intende concentrare gli sforzi su casi di evasione più significativi e strutturati».
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