Mediaset è sul piede di guerra, e anche La7 non ha preso bene la proposta di legge presentata dalla Lega. Quella che taglia il canone Rai e aumenta la pubblicità della tivvù di Stato, riducendo la torta disponibile per tutti.
Più pubblicità alla Rai — dicono i leghisti — dopo che il canone è stato tagliato e portato da 90 a 70 euro all’anno per iniziativa sempre del Carroccio.
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La battaglia sul canone Rai
Adesso l’incasso annuo da pubblicità per il servizio pubblico è — dati relativo al 2023 — di 275,6 milioni di euro. Di questi, circa 60 milioni derivano da entrare pubblicitarie legate a Sanremo. Quanto potrà crescere questa somma? Difficile fare previsioni. Anche perché, se dovesse realizzarsi la proposta leghista, si scatenerebbe — dicono in Rai e fuori dalla Rai — una guerra all’arma bianca tra gli inserzionisti, un gioco di sconti e di sgambetti tra i concessionari di cui nessuno sa valutare la portata e la potenza di fuoco. Quel che è certo, dicono a Viale Mazzini, è che la mossa leghista vorrebbe preludere a un ulteriore taglio del canone ma va considerato che senza canone — anche in presenza di più pubblicità — il servizio pubblico non reggerebbe.
E oltretutto del canone, di 70 euro, solo il 53 vanno in tasca alla Rai, gli altri servono a finanziare anche le emittenti locali e altri media. Tutto il sistema andrebbe in difficoltà. Mediaset ha deciso che farà di tutto per far fallire l’iniziativa leghista (e Forza Italia si è già messa di traverso. Tajani: «Non difendo Mediaset, ma abbiamo il canone più basso d’Europa e senza canone è l’intero comparto della produzione dell’audiovisivo che rischia il collasso») e La Sette ha parlato tramite il suo patron, Cairo: «Credo che questa proposta di legge sia squilibrata, ma soprattutto confusionaria. Noi facciamo servizio pubblico e salti mortali per garantire un certo tipo di palinsesto. Credo che meriteremmo noi una quota di canone pubblico».
La proposta della Lega
Sia nei palazzi televisivi sia nel mondo politico di centrodestra danno tutti già per morta la sortita leghista. Che viene spiegata così, anche in Rai: «Salvini è scontento di come parrebbe andare la partita delle nomine a Viale Mazzini. E quindi alza il livello dello scontro sui soldi e la pubblicità per incassare altro». Cioè? Il ragionamento in casa leghista è questo: FdI con Giampaolo Rossi che succede a Roberto Sergio ottiene la poltrona più ambita e di potere, quella dell’amministratore delegato, Simona Agnese è destinata alla presidenza della Rai su grande spinta di tutti e molta spinta di Forza Italia, mentre a noi non resta niente. In realtà potrebbe restare la poltrona di direttore generale, ma che forse andrà a un tecnico o a nessuno o a Sergio. Perché non alla Lega, dicono in Lega? Se non ci sarà un dg salviniano — prevedono i raiologi — continuerà l’attivismo del vicepremier su questo fronte. Si ballerà un po’ su tutto. Si tratta insomma di uno scontro politico interno alla maggioranza. Ma Salvini non è di questo avviso. Ne fa una questione strategica e di coerenza programmatica.
«L’abbassamento e l’abolizione del canone Rai è nel programma della Lega da 30 anni. Naturalmente devi trovare delle altre fonti di finanziamento, quindi la pubblicità. Forza Italia parla di Mediaset, li capisco. A me interessa che tutti possano lavorare, però il servizio pubblico lo pagano tutti i cittadini italiani». E ancora: «Aumentando gli introiti pubblicitari, il cittadino non spende niente ed il privato decide dove investire in pubblicità. Ci sono dei Paesi europei dove la tivvù pubblica è a canone zero. Non capisco onestamente la polemica». Si tratterà, nel caso, di trovare una marea di denaro se si rinuncia al gettito totale derivante dal canone Rai, che è di quasi due milioni di euro, sperando di ritoccare i tetti pubblicitari che nessun altro player — né economico-industriale né politico — vuole modificare.
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