10.05.2025
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Politics

quali sono i quesiti. Fratelli d’Italia per l’astensione


Cittadinanza, Jobs Act, indennità di licenziamento nelle piccole imprese, contratti di lavoro a termine e responsabilità solidale del committente negli appalti: sono i cinque quesiti referendari su cui gli italiani saranno chiamati ad esprimersi l’8 e il 9 giugno. I tempi stringono e i partiti giocano le loro carte prima dell’apertura delle urne. C’è chi chiede astensione e chi promuove il sì. Infatti, si tratta di un referendum abrogativo: chi vota sì chiede di cancellare la norma vigente, chi vota no vuole mantenerla. Perché il voto sia valido è necessario il quorum, cioè che vada a votare il 50% più uno degli aventi diritto. In caso contrario il referendum sarà nullo.

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Il quesito sulla cittadinanza

Grazie al via libera della Corte Costituzionale lo scorso gennaio, uno dei quesiti riguarda la riduzione degli anni di residenza necessari per ottenere la cittadinanza italiana. La proposta, avanzata dal deputato di +Europa Riccardo Magi e sostenuta da altri partiti e associazioni, ha raccolto un centinaio di migliaia di firme in poco tempo, anche grazie alle piattaforme online. L’obiettivo è ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale per la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri maggiorenni. Una riforma che potrebbe interessare circa 2,5 milioni di persone. Resterebbero comunque in vigore tutti gli altri requisiti richiesti: conoscenza della lingua italiana, reddito etc.. L’iniziativa punta ad allineare l’Italia agli standard di altri Paesi europei, come Francia e Germania, dove il periodo richiesto è già fissato a 5 anni. 

I quattro quesiti sul lavoro

Gli altri quattro quesiti, promossi dalla Cgil, riportano al centro del dibattito pubblico il tema del lavoro. Si parte dal cuore del Jobs Act, la riforma voluta dal governo Renzi.

In particolare, uno dei quesiti propone l’abrogazione delle norme a “tutele crescenti”, che oggi prevedono che nelle imprese con più di 15 dipendenti i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 non abbiano più diritto al reintegro dopo un licenziamento illegittimo, ma solo a un indennizzo economico. Un altro quesito mira a cancellare il tetto massimo dell’indennità nei licenziamenti illegittimi per le imprese con meno di 16 dipendenti. Attualmente l’indennizzo non può superare le sei mensilità. Se dovesse vincere il sì, il giudice avrebbe la possibilità di stabilire indennizzi maggiori, valutando caso per caso. C’è poi la questione dei contratti a termine: oggi le aziende possono assumere lavori a tempo determinato fino a 12 mesi senza le “casuali”. Il referendum chiede di abrogare questa possibilità e ripristinare l’obbligo per le aziende di indicare il motivo per cui si ricorre a un contratto a tempo determinato. Infine si vota sulla sicurezza nei subappalti. Attualmente, in caso di infortunio sul lavoro o violazione delle norme, non è possibile estendere la responsabilità all’impresa appaltante. Il referendum propone di abrogare tale norma e rafforzare le tutele per i lavoratori coinvolti. 

Le posizioni dei partiti

Con l’avvicinarsi della data del voto, le posizioni dei partiti si sono fatte più chiare e nette. Da un lato ci sono il Pd e il resto delle forze di opposizione, che invitano i propri elettori ad andare a votare sì, soprattutto con l’obiettivo di cancellare il Jobs Act. Mentre, il Movimento 5 Stelle lascia carta bianca ai propri elettori sul tema della cittadinanza. Dall’altra parte ci sono i partiti di maggioranza che compatti rifiutano la logica del referendum. Fratelli d’Italia, il partito della premier, ha reso noto in una “nota informativa” interna, firmata dai vertici e preparata dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, la posizione del partito con un titolo inequivocabile: “Referendum, scegliamo l’astensione”. Linea rilanciata da subito sui social, dove da giorni circolano meme, grafiche e attacchi alla segretaria dem, accusata di incoerenza per voler affossare una riforma che in passato il suo partito aveva sostenuto. 
Anche Italia Viva e Azione, se pur con toni diversi, si sono espresse contro il referendum.  
Matteo Renzi, in un’intervista al Corriere, ha risposto duramente alle critiche di Maurizio Landini, definendo i quesiti referendari “Simbolo di una guerra ideologica”. Secondo l’ex premier, non è corretto attribuire ai referendum la capacità di combattere la precarietà. Anzi, ha sottolineato come in caso di vittoria del sì, non si tornerebbe all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma si tornerebbe alla legge Monti-Fornero, che prevede sempre un indennizzo, ma con un tetto più basso.
Un clima acceso in  cui le posizioni sono polarizzate. Alla fine, saranno i  cittadini, con la loro partecipazione o astensione a determinarne le sorti.

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