Spuntano nuove proposte di correttivi al Codice degli appalti a un anno dalla sua entrata in vigore, sul tavolo della Commissione Ambiente e Lavori pubblici. Modifiche che vanno in una direzione precisa: spingere sulla concorrenza, soprattutto nei cosiddetti appalti sottosoglia senza bando, e dare nello stesso tempo un ulteriore contributo alla trasparenza dei bandi, allargando gli spazi di pubblicità anche oltre le nuove piattaforme ah hoc. Presso gli uffici dei Comuni per esempio, o anche sui giornali, fino alla recente riforma lo strumento di pubblicità per eccellenza per il settore.
L’OBIETTIVO
Un ritocco ritenuto necessario che secondo i sostenitori delle proposte di maggioranza, e anche di minoranza, non toglie nulla allo spirito della norma del Codice degli appalti, pro-digitalizzazione e semplificazione, voluta dal leader della Lega Matteo Salvini che oggi prevede la pubblicazione dei bandi sulla sola Banca dati nazionale dei contratti pubblici gestita dall’Anac. Piuttosto si tratta di migliorarne l’applicazione. E magari, anche evitare il rischio che certi appalti, cruciali nella rotta Pnrr, diventino meno appetibili per le aziende. L’ultimo tassello incardinato in Commissione e appena presentato da FdI va nella stessa direzione della rotta imboccata a maggio dalla risoluzione apripista, quella promossa da Erica Mazzetti, responsabile nazionale del dipartimento lavori pubblici di FI, membro della Commissione ambiente e responsabile nazionale dipartimento Lavori pubblici di Forza Italia.
Tra i capitoli da correggere sollecitati dalla risoluzione presentata da Mazzetti in cui compare come primo firmatario Paolo Barelli, insieme ad altri 15 deputati, figura in testa il riferimento all’articolo 50 che si occupa delle procedure di affidamento negoziate senza bando. E dunque, per «evitare possibili abusi dell’istituto, è opportuno prevedere che la stazione appaltante garantisca una adeguata pubblicità preventiva e successiva all’adozione di tale metodologia di affidamento, bilanciando l’eventuale aggravio di adempimenti e costi per le stazioni appaltanti, con i minori rischi di contenzioso», è scritto nella proposta. «L’obiettivo è aumentare la concorrenza sul mercato e dare più opportunità di pubblicità con evidenza pubblica da parte delle stazioni appaltanti come Comuni anche per gli affidamenti diretti ossia sotto 150.000€», ha spiegato Mazzetti al Messaggero. Il nuovo codice appalti da l’opportunità agli uffici tecnici delle stazioni appaltanti a comunicare direttamente alle imprese per affidamento », continua Mazzetti. E invece «ci sembra opportuno dare più trasparenza possibile agli appalti anche su valori più modesti ed ampliare la concorrenza e diminuire il rischio di contestaziosi o blocco per paura della firma da parte dei dirigenti».
LA ROADMAP
Del resto, lo stesso spirito è contenuto nella proposta di FdI presenta da Massimo Milani sempre in riferimento all’articolo 50. «Essendo la procedura negoziale una procedura a concorrenza ridotta, al fine di evitare un eccessivo vulnus al mercato», è scritto nella risoluzione, «sarebbe necessario abbassare fino a 2-3 milioni di euro la soglia entro la quale le stazioni appaltanti possano ricorrervi in via ordinaria, prevedendo oltre tale soglia forme di maggiore partecipazione e trasparenza». Al termine delle audizioni, a settembre, sarà steso un testo da sottoporre al Parlamento per chiedere un impegno al preciso governo. In gioco, come detto, ci sono la concorrenza e la trasparenza dei bandi. Ma un cambio di marcia può avere il merito anche di riaprire il canale della pubblicità sui giornali, di fatto chiuso dalla riforma voluta da Salvini. «L’editoria va sostenuta» ha ribadito ieri non a caso Barelli. Secondo alcune stime si parla di almeno 1,5-2 milioni di impatto all’anno su il mercato dell’editoria, già in affanno. Stando alla Federazione Concessionarie Pubblicità, nel 2023 la pubblicità legale ha rappresentato circa il 12% degli introiti pubblicitari dei quotidiani (45 milioni).
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