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prolungamento solo per un dipendente ogni 10 assunti


Evitare lo svuotamento degli uffici pubblici riducendo anche la spesa previdenziale. La norma anticipata la scorsa settimana dal Messaggero (e confermata dal ministro della Pa, Paolo Zangrillo) alla quale sta lavorando il governo e che punta a introdurre la possibilità, per lo Stato, di trattenere in servizio, su base volontaria, il personale oltre i 67 anni ed entro i 70 anni per lo svolgimento di attività di tutoraggio e affiancamento o di esigenze funzionali non diversamente assolvibili «non determina maggiori oneri ma anzi garantisce, per il periodo di trattenimento in servizio, una minore spesa». Inoltre ci sarà un tetto massimo del 10% delle facoltà assunzionali.

È quanto emerge dalla Relazione tecnica alla bozza del ministero della Pa. Il piano, dunque, non costerebbe nulla alle casse dell’Inps, ed anzi alleggerirebbe gli oneri previdenziali dell’istituto. Ma non è tanto di natura finanziaria l’obiettivo dell’esecutivo Meloni che, secondo quanto riferisce una fonte impegnata sul dossier, ha un altra preoccupazione in testa. Vale a dire, appunto, mettere una toppa alla falla dei guasti causati dal blocco prolungato al turn over negli uffici pubblici che ha generato mancanza di personale in un terzo degli apparati. È vero che i concorsi sono ripartiti ma ci vorrà tempo per soddisfare le esigenze di servizio e, nel frattempo, trattenere al lavoro migliaia di dipendenti può essere vitale anche solo seguendo una logica di formazione dei neo assunti. Il piano, vale la pena ricordarlo, prevede lo stop (attivabile solo se ufficio e lavoratore concordano) al pensionamento automatico che attualmente scatta a 67 anni di età o a 65 anni ma con 42 anni e 10 mesi di contributi. Un altro fronte caldo è quello delle pensioni minime.

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IL PASSAGGIO

Il ministero degli Esteri e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, ha confermato che l’obiettivo di legislatura è alzare i trattamenti fino a quota mille euro. Ma, per il momento, gli azzurri si battono per aumentare l’assegno dagli attuali 614 a 650 euro. Serve un miliardo per riuscirci. Le modeste disponibilità, sul fronte previdenziale, condizionano tutte le scelte. Dal punto di vista delle uscite anticipate, ad esempio, Quota 103 potrebbe essere sostituita da Quota 41, ma con il ricalcolo interamente contributivo se si confermasse il trend di scarsissima adesione alla misura dopo la stretta dell’anno scorso. Potrebbe arrivare invece un intervento sul fronte della previdenza complementare, sollecitato dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, per rendere obbligatorio il versamento di una parte del Tfr ai fondi e per rendere il secondo pilastro cumulabile con il primo per l’uscita dal lavoro in caso di pensione contributiva.

E sul fronte della flessibilità in uscita si rafforza l’ipotesi di possibili incentivi che premino chi resta al lavoro. Dovrebbe essere confermata l’Ape sociale, la misura che consente ai lavoratori in una situazione di svantaggio (disoccupati, care giver, con invalidità almeno del 74% con almeno 30 anni di contributi o impiegati in attività usuranti con almeno 36 anni di contributi) di avere un anticipo pensionistico una volta raggiunti i 63 anni e cinque mesi di età. Conferma anche per Opzione donna che consente alle lavoratrici l’uscita anticipata dal lavoro a fronte di 35 anni di contributi a 61 anni (ma si può ridurre di un anno per ogni figlio fino a un massimo di due anni).

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