11.05.2025
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Economy

prelievo fino al 48%. Scontro con Pechino, l’Europa si spacca


L’Europa torna ad affilare le armi contro la Cina e si prepara a imporre dazi fino al 48% sull’importazione delle auto elettriche del Dragone. Ma da Berlino a Budapest, tra le capitali c’è chi punta i piedi di fronte ai rischi di un’escalation commerciale con Pechino, che intanto si dice pronta alla rappresaglia. Archiviata la stagione elettorale (ma non ancora quella delle nomine), ieri la Commissione ha ripreso in mano il dossier delle vetture a batteria cinesi, chiudendo in via preliminare l’indagine anti-dumping che aveva aperto nove mesi fa per far luce sul fenomeno dei veicoli asiatici a basso costo che, sostenuti da generose sovvenzioni pubbliche, inondano il mercato Ue e fanno concorrenza sleale alle e-car “made in Europe”, tecnologie pulite al centro del Green Deal.

I DATI
Stando ai dati di Eurostat, le vendite di auto a batteria cinesi sono cresciute a ritmo record, passando dalle 57mila unità del 2020 alle oltre 437mila dell’anno scorso, per un valore di circa 10 miliardi di euro. «I risultati provvisori indicano che l’intera filiera beneficia pesantemente di aiuti di Stato in Cina e che l’afflusso di importazioni cinesi sovvenzionate a prezzi artificialmente bassi rappresenta una minaccia per l’industria dell’Ue», si legge in una nota di Bruxelles, che ha notificato a Pechino l’intenzione di imporre dazi che supererebbero i 2 miliardi di euro ogni anno. Per il vicepresidente esecutivo della Commissione e titolare del Commercio Valdis Dombrovskis, «è una risposta misurata per ripristinare la parità di condizioni», ma tutti i «canali di comunicazione» con Pechino rimangono aperti. A Bruxelles si stima che un mancato intervento metterebbe a rischio 2,5 milioni di posti di lavoro diretti e 10,3 nell’indotto. 

Nel dettaglio, l’esecutivo Ue applicherebbe cinque livelli di tariffe compensative. Per i tre produttori di auto cinesi inclusi nel campione dell’inchiesta saranno pari al 17,4% per Byd, al 20% per Geely (che controlla la svedese Volvo) e al 38,1% per Saic (che ha una joint venture con Volkswagen). Altre case automobilistiche che hanno collaborato all’indagine (tra queste dovrebbe esserci Tesla) saranno soggette a un prelievo del 21%, che diventerà del 38,1% per quanti non hanno cooperato. Questi valori si aggiungono al dazio del 10% già esistente sull’import nell’Ue; il che renderebbe le vetture elettriche di produzione cinese più costose anche del 48% (negli Usa, da maggio, il valore è del 100%). 

Le tariffe non sono immediatamente applicabili, ma scatterebbero dal 4 luglio prossimo, in linea con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, che danno adesso alla Cina quattro settimane per contestare le prove presentate da Bruxelles ed eventualmente risolvere la questione a livello negoziale. Solo a novembre, poi, e dopo un voto dei Paesi Ue, i dazi diventerebbero definitivi. 

Ma Pechino ha reagito con fermezza all’annuncio Ue, promettendo di non voler «stare a guardare» e di «prendere risolutamente tutte le misure necessarie per difendere con fermezza i diritti e gli interessi legittimi delle aziende cinesi» da un’indagine «senza fondamento fattuale e giuridico». Tra i rischi, c’è la possibilità di ritorsioni in grado di colpire gli interessi Ue in altri ambiti, dall’agricoltura all’aviazione. 

LA MISURA
A favore dell’affondo Ue si è schierato il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, secondo cui la misura «tutela la produzione europea» e «la possibilità di riaffermare in Italia l’industria automobilistica, uno dei settori trainanti dello sviluppo industriale del nostro Paese a cui non vogliano assolutamente rinunciare». Ma a frenare la fuga in avanti della Commissione c’è pure la solita Ue spaccata. A cominciare dalla Germania, che nel settore automotive è leader a livello mondiale e ha ampliato la presenza delle sue aziende in Cina, e dall’Ungheria, che ha di recente attirato gli investimenti di Byd. «I dazi punitivi si ripercuotono sulle imprese tedesche e sui loro prodotti di punta», ha reagito il ministro dei Trasporti tedesco, il liberale Volker Wissing. «È bene che la Commissione offra adesso dei colloqui alla Cina», gli ha fatto eco il portavoce del cancelliere Olaf Scholz; mentre da Budapest è arrivata la censura contro una misura «protezionistica» che «non è sostenuta dal comparto auto». Fredda anche Stellantis: «In quanto azienda globale, crediamo nella concorrenza libera e leale in un ambiente commerciale mondiale e non sosteniamo misure che contribuiscono alla frammentazione del mondo»; per Acea, l’associazione europea dei costruttori d’auto, «per essere competitivo», il settore ha semmai «bisogno di una solida strategia industriale per l’elettromobilità».
 

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