14.05.2025
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Politics

«Pregiudizi sull’Italia». Le due partite di Giorgia


Se per quello alla messicana bisogna essere in tre, lo stallo all’europea vede almeno 4 o 5 attori in commedia. E tra questi (tra Ppe, socialisti, liberali, conservatori e la candidata Ursula von der Leyen), la più immobile di tutti oggi è Giorgia Meloni. Almeno apparentemente. A palazzo Chigi infatti, ci si aspetta una controproposta da parte di chi, a Bruxelles, lunedì si è presentato convinto di avere l’accordo in tasca sul pacchetto che prevede anche la presidenza del Consiglio affidata al socialista Antonio Costa e la casella dell’Alto rappresentante europeo alla liberale Kaja Kallas.

LA TRATTATIVA

Un passo verso l’Italia che al momento non c’è stato e che, quindi, giustifica alcune azioni intraprese da Meloni e da Ecr (il gruppo europeo dei conservatori di cui la premier è presidente). In primis l’annuncio del sorpasso a Renew come terzo gruppo al Parlamento Europeo. In seconda battuta le perplessità sollevate – in verità già lunedì – su Kallas. L’estone infatti, è giudicata da Meloni e da altri Paesi del blocco Sud dell’Ue, troppo poco avvezza alle istanze che riguardano il Mediterraneo e l’Africa. Un fattore non da poco. Agitato dalla premier come qualificante al punto che, c’è chi vorrebbe ora in discussione la candidata liberale. Magari per far spazio ad Elisabetta Belloni. Poco più che ipotesi. Anche secondo fonti vicine al partito di Emmanuel Macron, questa non è infatti i punto di arrivo a cui ambisce la premier: «Meloni sta solo provando a creare un problema per poi offrire la soluzione». D’altro canto le parole del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti pronunciate ieri al consiglio dei governatori del Mes, sembrano andare proprio in questa direzione. Il leghista ha infatti stigmatizzato la «conventio ad escludendum assolutamente sbagliata» e «l’atteggiamento pregiudizievole verso il nostro Paese».

E cioè il doppio tavolo della premier. Una partita nella partita che la vede “utilizzare” anche il rapporto con l’ungherese Viktor Orban secondo necessità (l’ungherese, non a caso, potrebbe essere presto a Roma per un incontro con Meloni). E quindi se i nuovi ingressi dei romeni di Aur allontanano le possibilità che Fidesz possa accedere a Ecr – spostando ulteriormente gli equilibri dell’Europarlamento verso i conservatori – il meloniano Nicola Procaccini, torna a sventolare l’ipotesi. «Se Orban un domani volesse entrare in Ecr dovrebbe firmare una dichiarazione unilaterale di sostegno alla causa ucraina» ha detto, specificando come questa sia già stata sottoscritta da Aur. Il leader magiaro è una delle tante pedine che, nel progetto di spostare verso destra l’asse della Ue e controllare gli equilibri dell’Europarlamento (e sul lungo periodo anche del Ppe), vede Meloni impegnata in una trattativa silenziosa e sotto-traccia. Se lo stallo tiene, insomma, è anche perché fa comodo all’Italia. A Roma è forte la convinzione che di questo approccio possa beneficiarne il Paese, strappando deleghe ancora più pesanti alla Commissione europea rispetto a quelle offerte da Von der Leyen. Bilancio, coesione e Pnrr sono un pacchetto difficile e intrigante, che però non è giudicato sufficientemente appetibile. L’idea è affiancarci qualcos’altro. Una vicepresidenza esecutiva? Magari, ma è tutt’altro che scontata dato l’enorme carico di potere che porta con sé. Un’ulteriore delega alla concorrenza o al mercato interno? Pure, ma significherebbe mettersi in tasca un portafoglio enormemente significativo, a dispetto delle resistenze di socialisti e liberali. La poltrona è ancora da cesellare. Eppure c’è chi è pronto a giurare che in corsa non vi sia ormai nessun altro a parte Raffaele Fitto. Al punto che tra palazzo Chigi e via della Scrofa ci sarebbe già chi ragiona sulla sua sostituzione guardando ad un passaggio di poteri ad interim nella mani della premier o in quelle di Alfredo Mantovano, evidenziando in ogni caso come già nel passaggio dal governo Conte II a Draghi, l’allora ministro per gli Affari Ue Vincenzo Amendola, finì con il diventare “solo” un sottosegretario. In tal senso del resto a Meloni non manca lo spazio per poter evitare intemperanze degli alleati. Le caselle vuote infatti sono già due: quelle che erano di Vittorio Sgarbi alla Cultura e di Augusta Montaruli all’Università. Ma anche qui, per rompere lo stallo, bisognerà aspettare che qualcun altro faccia la prima mossa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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