NEW YORK Il Wall Street Journal lo ha definito «un recupero storico», mentre il Financial Times ha parlato di «ripresa dallo shock delle tariffe di Trump». Ed è vero che ieri mattina Wall Street e i mercati internazionali hanno ripreso forza dopo mesi di ribassi e instabilità, grazie a un segnale tanto effimero quanto sostanziale per gli investitori: gli Stati Uniti e la Cina hanno raggiunto un accordo dopo mesi di scontri, allontanando il rischio di una nuova guerra commerciale che molti analisti vedevano come la fine di un lungo periodo di espansione. Un segnale però che ha avuto vita molto breve, visto che Donald Trump, poche ore dopo aver annunciato il «deal» con Pechino, ha aperto un nuovo fronte con il Canada: ha detto di aver «fermato tutte le discussioni sul commercio», accusando Ottawa di aver imposto tasse ingiuste sulle aziende tech americane. Ma proviamo a ricostruire la giornata. L’annuncio del patto Usa-Cina è arrivato in mattinata dal segretario al Tesoro, Scott Bessent, che nel corso di un’intervista a Fox News ha confermato l’accordo, definito a Ginevra e a Londra: gli Stati Uniti manterranno le tariffe nei confronti di Pechino ai livelli attuali (30% su tutti i prodotti in ingresso contro le minacce del 145%), in cambio la Cina aumenterà le esportazioni di terre rare verso gli Stati Uniti che sono «il cuore di gran parte della nostra industria», ha detto Bessent. Il patto è stato firmato all’inizio della settimana e include anche la riapertura dei visti per gli studenti cinesi e la vendita di prodotti tecnologici americani alla Cina, soprattutto microchip. Pechino ha confermato il patto, presentandolo come un successo: «Gli Stati Uniti revocheranno quindi una serie di misure restrittive nei confronti della Cina» ha detto il ministero del Commercio cinese. Dunque meno limiti per i prodotti cinesi sui mercati americani. Due giorni fa il premier Li Qiang ha presentato il suo Paese alla Davos estiva di Tianjin come l’unico in grado di mantenere l’equilibrio mondiale, sostenendo che l’economia internazionale sia un modo per «ridefinire le regole e l’ordine» mondiale. La Cina ha il monopolio delle terre rare, grazie a un dominio nel settore della produzione e della raffinazione a partire dagli anni ’90. E alcuni di questi elementi rari sono fondamentali per la produzione dell’equipaggiamento militare americano e dei jet più avanzati.
Nel frattempo continuano i negoziati con altri Paesi, mentre si avvicina la scadenza della pausa alle tariffe concessa da Trump. In teoria il prossimo 9 luglio i dazi dovrebbero rientrare in vigore e in questo momento Washington ha firmato accordi solo con due Paesi: Cina e Regno Unito, visto che le discussioni con il Canada sono state fermate. Proprio su questo punto ieri Trump ha anticipato che gli Stati Uniti hanno raggiunto intese con altri «quattro o cinque Paesi», senza tuttavia nominarli. Trump ha anche detto che nonostante stia lavorando per raggiungere altri ok entro la scadenza del 9 luglio, «alcuni Paesi riceveranno una lettera e saranno delusi perché dovranno pagare i dazi».
LE SPERANZE
Il presidente, come ha già fatto in diverse occasioni, ha anche spiegato che potrebbe estendere la pausa di 90 giorni e anche Bessent ha confermato le discussioni in corso e ha detto che entro settembre ci dovrebbero essere patti con una decina di Stati. Ma nonostante l’annuncio, alcuni media americani fanno notare come ci sia ancora molta confusione sui termini e su quanto questo accordo sia sostenibile e duraturo. E allora, come scrive Cnbc, è importante notare come i rialzi «storici» di Wall Street si basino sulle speranze, con il rischio che nei prossimi mesi si spengano e si ritorni a scendere.Le relazioni tra Cina e Stati Uniti resteranno «imprevedibili per un po’ di tempo», ha detto Scott Kennedy, esperto di economia al think tank di Washington Center for Strategic and International Studies. Ma a parte questo, ieri lo S&P500 ha recuperato tutte le perdite di aprile ed è arrivato a nuovi record, aprendo alla possibilità di un nuovo periodo di espansione. Questo nonostante la chiusura di giornata abbia visto dei rallentamenti dovuti ai nuovi attacchi al Canada, con il rischio che i continui cambi di posizione possano di nuovo spaventare i mercati. Resta poi il timore per lo stato dell’economia americana: i dati sul Pil dei primi tre mesi dell’anno hanno mostrato un’economia in contrazione dello 0,5%, mentre l’inflazione è salita al 2,7% a maggio, rispetto al 2,5% di aprile, e i consumi hanno iniziato a diminuire.
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