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più della metà custodito all’estero


Immaginate un esercito di 500 elefanti e vi farete un’idea della quantità di oro che ha in pancia la Banca d’Italia, quarto detentore di riserve auree al mondo, dopo la Federal Reserve statunitense, la Bundesbank tedesca e il Fondo Monetario Internazionale. Il quantitativo totale di oro di proprietà di via Nazionale è pari a 2.452 tonnellate ed è costituito prevalentemente da lingotti e per una parte minore da monete. Oltre la metà delle nostre riserve auree si trova però all’estero. Il 43,29 per cento, ovvero 1.061 tonnellate circa, è custodito negli Usa. Il 5,7% nel Regno Unito e il 6% in Svizzera. La quota di oro effettivamente detenuta in Italia si ferma al 44,86%: parliamo di 1.100 tonnellate.

STRATEGIA DI DIVERSIFICAZIONE
La decisione di lasciare all’estero una quota di lingotti così significativa dipende, oltre che da ragioni storiche legate ai luoghi in cui l’oro è stato acquistato, anche da una strategia di diversificazione, spiega Bankitalia, finalizzata all’abbattimento dei rischi. Inoltre, la custodia nelle principali piazze finanziarie permette, in caso di necessità, un più rapido utilizzo delle riserve auree, limitando i costi (e i tempi) legati al trasporto del metallo. Le verifiche sull’oro detenuto all’estero sono effettuate sulla base delle attestazioni rilasciate annualmente dalle banche centrali depositarie. La Banca d’Italia può comunque sottoporre a verifica diretta l’oro detenuto nelle casseforti delle altre banche centrali.

Ma quanto vale l’oro sotto il controllo di via Nazionale? Il valore aggiornato delle riserve auree viene pubblicato annualmente nel bilancio dell’Istituto. «Alla fine del 2024 – si legge nell’ultimo bilancio di esercizio di Palazzo Koch – il valore dell’oro era pari a 197.945 milioni di euro. L’incremento di 50.706 milioni sull’anno precedente è dovuto alla maggiore quotazione del metallo, aumentata del 34,4 per cento rispetto alla fine del 2023. La consistenza è rimasta invariata a 79 milioni di once, corrispondenti a 2.452 tonnellate». Questi valori non riflettono la corsa del metallo giallo nel 2025. Attualmente la quotazione dell’oro viaggia sopra i 4mila dollari l’oncia. Dall’inizio dell’anno il bene rifugio ha guadagnato circa il 50%, quindi si può calcolare che il valore attuale delle nostre riserve sia vicino ai 300 miliardi. Cinque anni fa il metallo giallo veniva scambiato invece a 1.500 dollari l’oncia.

Le banche centrali gestiscono le riserve ufficiali in piena autonomia, nei limiti degli indirizzi adottati dalla Bce a salvaguardia della politica monetaria unica. In caso di crisi valutarie, una banca centrale può disporre dell’oro, al pari delle riserve in divisa estera, per preservare la fiducia nella valuta nazionale, utilizzandolo come garanzia per ottenere prestiti o, in ultima istanza, vendendolo sul mercato al fine di acquistare la valuta nazionale, così da sostenerne il valore. Un considerevole ammontare di oro garantisce perciò a una banca centrale una più elevata capacità di azione nel preservare la fiducia nel sistema finanziario nazionale. L’oro è anche un buon presidio contro l’inflazione e ha il vantaggio di non essere condizionato dalla solvibilità dell’emittente, in quanto non si tratta di un’attività emessa da un governo o da una banca centrale. Una parte dell’oro presente nei caveau della Banca d’Italia, infine, viene detenuta a scopo cautelativo per soddisfare eventuali richieste da parte della Bce.GLI ALTRI PAESI E L’ITALIA
Gli Stati Uniti possiedono più di 8mila tonnellate di oro. La Germania intorno alle 3.300. La Cina, secondo i dati ufficiali, si ferma a 2.300 tonnellate circa. Quando è stata fondata, nel 1893, la Banca d’Italia già disponeva di una propria dotazione aurea. Questa riserva è aumentata negli anni fino all’inizio della Seconda guerra mondiale, per poi raggiungere il suo minimo alla fine del conflitto, anche a causa dell’asportazione di una parte dell’oro a opera delle truppe di occupazione. Nel dopoguerra, in quanto Paese esportatore, l’Italia ha beneficiato di cospicui afflussi di valuta estera, soprattutto in dollari, che in parte sono stati convertiti in oro. I lingotti nei caveau della Banca d’Italia e in quelli delle altre banche centrali depositarie hanno ripreso così ad aumentare fino a raggiungere la quota attuale.


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