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Per l’ex Ilva solo offerte al ribasso. Si punta su una cordata italiana


Tra i candidati per rilevare l’ex Ilva è scesa in campo anche la sezione di Alleanza Verdi e Sinistra di Taranto. Partito da anni in prima linea nelle proteste dei residenti per chiudere gli altoforni dell’acciaieria pugliese. L’ex parlamentare Rosa D’Amato e Gregorio Mariggiò hanno offerto 2 euro. Per la cronaca, i commissari di Acciaierie d’Italia (i gestori degli impianti) e dell’Ilva (i proprietari dei siti) hanno fatto sapere che questa loro manifestazione d’interesse «non corrisponde ai criteri della gara».

Detto questo, anche le due altre proposte per comprare tutti i quattro siti del gruppo siderurgico (Taranto, Genova, Novi Ligure e Racconigi), cioè quella di Bedrock Industries e quella di Flacks Group con gli slovacchi Steel Business Europe, sono state più generose. E ora, sul tavolo, ci sono soltanto due strade da seguire per il governo: spegnere gli impianti di Taranto oppure provare a costruire una cordata pubblico-privata — con forte presenza italiana e un soggetto forte come Cassa depositi e prestiti o Invitalia — per rilanciare l’azienda. Inutile dire che la prima ipotesi — con 20mila esuberi difficilmente da gestire e il crollo della produzione italiana di acciaio — è quella più insostenibile.

Si è chiusa con un sostanziale flop la nuova gara per vendere l’ex Ilva, quella che — potenzialmente — resta il principale gruppo siderurgico d’Europa. Dopo l’uscita degli azeri di Baku (più interessati a portare il gas a Taranto) e degli indiani di Jindal (a quanto pare ora guardano agli asset che Thyssengroup si appresta a dismettere in Europa) soltanto i fondi americani Bedrock e Flacks con Steel Business Europe si sono detti pronti a intavolare una trattativa per rilevare tutta l’ex Ilva. Le altre otto manifestazioni d’interesse — non offerte — riguardano singoli asset.

Renexia (gruppo Toto) — promettendo un investimento fino a 3,2 miliardi e assunti fino a 600-700 addetti — guarda ai cosiddetti asset ancillari ed energetici come il rigassificatore, il futuro impianto del Dri, la centrale elettrica e le linee di carpenteria. Marcegaglia e Industria Metalli Cardinali puntano alla controllata francese di Adi Socova. Sempre Marcegaglia (in cordata con Sideralba) e Car srl vogliono Adi Tubiforma. Ancora la dinastia mantovana dell’acciaio (questa volta insieme a Profilmec ed Eusider) è interessata anche all’acciaieria di Racconigi. L’impianto di Marghera invece è finito nel mirino di Eusider e di Trans Isole.

TERMINE NON PERENTORIO

I co mmissari di Adi e Ilva si sono affrettati a far sapere che «sebbene il termine stabilito non sia da considerarsi perentorio, eventuali proposte che dovessero pervenire successivamente saranno valutate esclusivamente qualora presentino condizioni particolarmente favorevoli per la procedura in corso». Quindi, inizieranno a vagliare le manifestazioni d’interesse ricevute, ben sapendo che nessuna è risolutiva. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha ammesso: «La situazione del sito è resa complessa dalle tante questioni giudiziarie che di fatto ne riducono la capacità produttiva e ne mettono in difficoltà le prospettive di rilancio e di investimento. Il secondo altoforno è ancora sotto blocco giudiziale. Ho rispetto per tutte le istituzioni, ma è indubbio che la capacità produttiva è seriamente diminuita da questa situazione».

Resta da capire, a questo punto, che fine faranno il tentativo di riportare l’acciaieria di Taranto alla piena produzione già dal primo semestre 2026 concludendo le manutenzioni dei siti, il progetto di decarbonizzare tutti gli altiforni riconvertendoli in forni elettrici e, soprattutto, il piano di portare l’output dell’intero gruppo dopo il 2030 a 8 milioni di tonnellate annue di acciaio, comprendendo anche lo stabilimento di Genova. Nel governo è forte la preoccupazione, ma — come spiegato — l’ipotesi di spegnere gli impianti del centro jonico è insostenibile. In quest’ottica l’ultima speranza è mettere le basi per una cordata pubblico-privata e gestire l’ennesimo rilancio.

Negli ultimi giorni — cioè proprio in prospettiva dello scadere del termine di gara — il governo avrebbe sondato le imprese siderurgiche italiane che hanno presentato delle offerte e altre del settore (come Arvedi) per creare una cordata interessata a rilevare tutta l’Ilva. Non sarebbero arrivate solo chiusure, anche se gli interpellati sembrano più interessati a uno “spezzatino”: investire solo su Genova per un polo del Nord con Novi Ligure e Racconigi.

È da qui che il governo ei commissari vorrebbero ripartire per salvare l’ex Ilva. Anche coinvolgendo un soggetto finanziario (in prima fila gli americani di Bedrock, che hanno cercato invano un partner industriale italiano) e soprattutto un soggetto pubblico e strutturato, come potrebbero essere Cassa depositi e prestiti o Invitalia. Tutti insieme per tentare un difficilissimo rilancio e creare in Italia un gruppo siderurgico che produce acciaio verde e — grazie al preridotto di ferro nei forni elettrici — soprattutto “flessibile” come richiesto dalle industrie dell’auto e della difesa. Intanto Rocco Palombella, dirigente dei metalmeccanici della Uilm fa sapere: «La gara per la vendita dell’ex Ilva si è conclusa, purtroppo come prevedibile: con un fallimento totale».


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