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Pensioni, quando usciremo dal lavoro nei prossimi anni? Adeguamento età addolcito in Manovra: cosa cambia


Quella dell’adeguamento dell’età di pensionamento alle aspettative di vita è un’eredità, diciamolo, difficile da gestire. Per qualsiasi governo. L’ultima manovra ha potuto solo addolcire lo scalino, portandolo dal 2027 a un solo mese dai tre previsti dalle norme in vigore, poi nel 2028 si aggiungeranno gli altri due mesi. Il meccanismo, avviato per la prima volta nel 2009, va detto, è ormai scritto nelle tavole della legge del sistema pensionistico italiano. Immodificabile. L’età pensionabile, l’età minima per ritirarsi dal lavoro, viene stabilità in base all’aspettativa di vita calcolata dall’Istat. 

L’INVECCHIAMENTO

In poche parole, più il Paese invecchia — tema cogente ormai da anni viste la scarsa natalità e la difficoltà ad attrarre immigrati in età da lavoro con alte professionalità — più tardi si va a riposo. Quindi, lo stesso principio che ha costretto l’attuale governo — pur rimodulando e attenuando gli effetti rispetto a quanto impone la normativa vigente — ad alzare la cosiddetta età legale per la pensione di vecchiaia. Che infatti dal primo gennaio 2027 salirà di 30 giorni a 67 anni e un mese e che da 2028 vedrà il requisito minimo passare a 67 anni e 3 mesi.

Un primo approccio in questa direzione, ma in ottica quinquennale, c’era nella legge 102 del 2009. L’anno dopo, nella 122 del 2010, l’allora governo Berlusconi stabiliva che dal 2015 l’età di pensionamento sarebbe stata adeguata con cadenza triennale all’incremento della speranza di vita rilevato annualmente dall’Istat ogni 30 giugno. Nel 2011, nella legge 111, sempre lo stesso esecutivo inserì un correttivo: il meccanismo fu anticipato al 2013, l’Istat avrebbe dovuto presentare la sua relazione ogni anno al 31 dicembre, mentre il calendario degli adeguamenti, stando alla relazione tecnica della norma, prevedeva 3 mesi in più tra il 2013 e il 2015, quattro per ciascun triennio dal Primo gennaio 2016 al 31 dicembre del 2030, ulteriori 90 giorni in più per ogni triennio dal Primo gennaio del 2031 in poi.

Questa modifica seguì la famosa lettera dell’8 agosto 2011 firmata dall’allora presidente della Bce, Jean Claude Trichet, e dal successore Mario Draghi. Con la quale si chiedeva all’Italia, che qualche giorno prima aveva sfondato il muro dei 400 punti di spread tra Btp e Bund tedesco, di «intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico».

All’epoca, si usciva dal mondo del lavoro con la pensione di vecchiaia a 65 anni. Giulio Tremonti, allora ministro dell’Economia, rivendicò l’atteggiamento cauto con la scelta di non introdurre un innalzamento coatto dell’età, perché non si stava «parlando dell’Rc auto, ma della vita dei cittadini». Soprattutto fu inserita una modalità di approvazione che solo negli anni è stata compresa appieno: l’adeguamento scatta grazie a un automatismo tecnico legato a un dato reale (la relazione sull’aspettativa di vita dell’Inps), viene «vidimato» con un decreto ministeriale e non ha bisogno di un voto parlamentare. E questo iter, secondo gli esperti, ha permesso sia che l’Italia non smantellasse il suo impianto virtuoso sulla previdenza sia, soprattutto, che nel nostro Paese non si siano verificate proteste e scontri di piazza che per esempio nell’ultimo triennio stanno dilaniando la Francia. La quale quest’anno ha dovuto congelare la sempre più necessaria riforma per portare l’età di uscita da 62 a 64 anni.

Per la cronaca, la successora di Tremonti, Elsa Fornero, dovette essere meno prudente: gli adeguamenti furono estesi a tutti gli assegni e divennero biennali fino al 2021. In realtà il primo è scattato nel 2013 (3 mesi), il secondo nel 2016 (4 mesi), il terzo nel 2019 (5 mesi), portando l’uscita a 67 anni. L’allora premier Conte congelò quello successivo con quota100, mentre sulla spinta del Covid l’aspettativa di vita, diminuita per i decessi, è stata congelata fino al 2023. Proprio il rialzo del dato nel 2024 — 83,4 anni — ha imposto lo scalino sull’età di ritiro che partirà dal 2027. Lo stesso che la maggioranza ha deciso di attenuare: da quell’anno scatterà solo un mese, portandolo a tre dal 2028. Non farlo, come ha calcolato l’Ufficio pubblico di bilancio in un Paese che destina il 16 per cento del Pil alla previdenza, sarebbe costato alle casse pubbliche 3 miliardi all’anno. Senza contare gli impatti sul debito pubblico e sullo spread. Ora a 70 punti base. 
 


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