Da 614,77 a 625,83 euro. Nel 2025 — stando alle stime dell’ufficio studi della Uil pensionati — dovrebbe essere di poco più di 11 euro l’aumento per gli assegni degli oltre due milioni di pensioni che ricevono il trattamento minino. Se si seguirà in Finanziaria lo schema già applicato nella scorsa manovra, saranno questi gli effetti della perequazione per difendere dall’inflazione i pensionati più deboli. Con il governo che dovrà impegnare circa un miliardo e che proverà a garantire a questi assegni un trattamento migliore rispetto alle pensioni più corpose con una rivalutazione al 120 per cento.
Accanto al taglio del cuneo fiscale e il tentativo di ridurre le aliquote Irpef per il ceto medio, l’esecutivo ha messo tra le priorità della legge di bilancio l’adeguamento delle pensioni minime all’inflazione. Lo scorso 2 settembre Giorgia Meloni — ospite della trasmissione “4 di sera” su Rete4 — ha dato la linea su questo dossier. E ha ricordato che nello scorso biennio il suo governo ha lavorato «per una rivalutazione piena di tutte le pensioni che arrivavano fino a 2.270 euro, garantendo che fossero adeguate pienamente al costo della vita». Per poi rivendicare «una rivalutazione al 120 per cento per le pensioni minime, che sono cresciute in modo significativo». Soprattutto ha confermato che si faranno «crescere di meno le pensioni che erano molto alte. Un’opera secondo me equa, che continueremo a fare perché sicuramente le persone più deboli sono quelle che hanno maggiore bisogno di aiuto da parte dello Stato».
Pensioni, rivalutazioni e quote: ecco le ipotesi sul tavolo per la manovra 2025
LA PROPOSTA
In quest’ottica tutto porta a pensare che — al netto di un’inflazione più bassa di circa 4 punti tra il 2023 e il 2024 — il governo seguirà questo schema. Anche se nel centrodestra Forza Italia fa pressioni per portare le minime a 650 euro e sta ultimando un suo piano da portare nei prossimi giorni al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per capire gli spazi di manovra, cioè le risorse disponibili.
Gli azzurri chiederanno agli alleati di portare il valore delle minime a 650 euro al mese. Dalle prime stime fatte dal partito guidato da Antonio Tajani il costo dell’operazione dovrebbe essere intorno al miliardo, da recuperare con la rimodulazione delle tax expenditures e dalla spesa impropria dell’Inps per l’assistenza. Ma per contenere i costi si valuta di garantire il tetto massimo ai pensionati sopra i 75 anni, considerando sia i carichi familiari sia il patrimonio del singolo soggetto.
Spiega Alessandro Cattaneo, parlamentare e responsabile nazionale del settore dipartimenti degli azzurri: «Forza Italia rappresenta l’anima liberale della coalizione. E in questa direzione chiediamo di accelerare sulle privatizzazioni, di aumentare gli incentivi alle imprese e di ridurre gli sprechi. Ma abbiamo chiara anche la nostra missione nel difendere i più deboli e il ceto medio, molto penalizzato in questi anni. Per questo sono fondamentali sia l’innalzamento delle pensioni minime sia il taglio dell’Irpef, portando l’aliquota mediana dal 35 al 33 per cento».
Questa la proposta di Forza Italia, che attende di capire da Giorgetti qualcosa in più sulle risorse disponibili. In quest’ottica sarà deciso il piano strutturale di bilancio che il governo deve inviare alla Commissione per indicare le traiettorie di crescita e di spesa in un orizzonte temporale tra i cinque e i sette anni. A quanto pare — sulla spinta dell’extragettito a luglio di 19 miliardi — l’esecutivo dovrebbe inserire per quest’anno una crescita all’1,2 per cento (contro il +1 ipotizzato nel Def) e il deficit tendenziale a circa il 3,8 per cento del Pil contro il 4,3 stimato ad aprile. Il documento dovrebbe essere approvato nel consiglio dei ministri del 16 settembre. Mentre la Ue avrebbe garantito ai Paesi in procedura di infrazione per disavanzo come l’Italia una proroga sui termini di presentazione, prevista per il 20 settembre.
Intanto, tornando alla rivalutazione delle minime, bisognerà aspettare almeno novembre per capire come si muoverà l’esecutivo. Ma sempre dando per scontato un meccanismo di rivalutazione sull’inflazione simile a quello della manovra del 2023, l’ufficio studio della Uil pensioni ha stimato per i trattamenti minimi un valore per l’assegno di 625,83 euro mensile contro 614,77 euro. Quindi applicando una percentuale di perequazione del 120 per cento e ipotizzando un indice di perequazione — che in concreto stabilirà l’Inps — dell’1,8 per cento.
LE IPOTESI
Per quanto riguarda gli assegni di maggiore entità, lo scorso anno fu decisa una rivalutazione al 100 per cento per le pensioni 4 volte il minimo (2459 euro), dell’85 per quelle sopra questa soglia, al 53 per quelle superiori a 5 volte, del 47% per quelle superiori 6 volte, del 37 per quelle superiori a 8 e del 22 per i trattamenti superiori a 10 volte il minimo. Sempre partendo da questi criteri, l’ufficio studio della Uil ha stimato che una pensione da 2.400 euro al mese passerà a 2.436, una da 2.600 a 2.633,15, una da 3.200 a 3.225,44, una da 3.800 a 3825,38, una da 5mila a 5027,75 euro. Spiega Carmelo Barbagallo, segretario dei pensionati dell’organizzazione di via Lucullo: «Temiamo che il governo voglia di nuovo fare cassa sui pensionati, tornando al meccanismo più iniquo e sfavorevole per i trattamenti pensionistici superiori a 4 volte quello minimo. La rivalutazione non è un aumento ma l’unico strumento che hanno i pensionati per recuperare in modo parziale l’inflazione dell’anno precedente. I pensionati sono il vero ammortizzatore sociale del Paese».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Leave feedback about this