IL PIANO
ROMA Un patto tra università e Servizi segreti italiani. Per fermare sul nascere le intromissioni di Paesi stranieri tra i banchi e i laboratori dei nostri atenei. Cina in primis, poi Russia, Iran. C’è un tesoro che fa gola agli 007 di Stati lontani, per sensibilità e alleanze geopolitiche, dall’Italia. Come anche a Paesi alleati extra-Ue. Un tesoro immateriale e per questo ancora più prezioso: brevetti, licenze tecnologiche, scoperte scientifiche.
Il governo è deciso a stringere i controlli sul furto di informazioni e dati sensibili nelle università. A mettere i bastoni fra le ruote alle agenzie di intelligence straniere che dietro la copertura di un accordo fra atenei, uno scambio di studenti o un semestre all’estero per ospitare professori e ricercatori italiani portano in dote ai rispettivi governi il “know how” della ricerca universitaria nostrana.
GLI ALLARMI DEGLI 007
L’allarme parte da lontano. Già a inizio anno, a quanto risulta al Messaggero da più fonti qualificate, sotto la regia del sottosegretario Alfredo Mantovano, autorità delegata alla Sicurezza che domani annuncerà un piano di intervento insieme alla ministra dell’Università Anna Maria Bernini, si è deciso di agire. Sulla spinta di segnalazioni preoccupanti. Professori italiani in trasferta in Paesi asiatici, per insegnare qualche mese in un’università partner, avvicinati da soggetti dell’intelligence locale. Ma anche aziende di Stati stranieri dalla governance opaca che hanno finanziato progetti di ricerca e corsi con ricercatori italiani. Nei campi più disparati, ovunque il Made in Italy eccelle: design, sviluppo dei semiconduttori, medicina, farmaceutica. Da tempo i nostri Servizi si occupano della tutela della ricerca universitaria, con la discrezione che è propria del comparto. È un compito che di norma spetta al Controspionaggio dell’Aisi, l’agenzia per la sicurezza interna: di fronte a situazioni ritenute allarmanti per la sicurezza, segnalate da “vedette” interne, avverte le autorità politiche e i responsabili degli atenei. Ora si vuole rendere questo lavoro più strutturale. Da un lato l’intelligence — il dossier è sul tavolo della direttrice del Dis Elisabetta Belloni — con l’ipotesi di un database che incroci le informazioni sulle università e gli enti di ricerca stranieri che hanno una gamba negli atenei italiani.
Dall’altro un ruolo più proattivo del mondo della ricerca. Con una sorta di “vademecum” per i ricercatori, stilato dal ministero di Bernini, per mettere in guardia dai rischi di una gestione all’acqua di rose del patrimonio informativo universitario. E riconoscere per tempo le “red flag”, i tentativi di enti e università vicini a Stati stranieri di ingerenza nei programmi universitari.
Del resto è stata l’Europa a chiedere di muoversi con il Consiglio europeo per la Competivitità del 23 maggio. Francia, Germania, Olanda si sono adeguati. Ora è il turno italiano. Nessun “piano” calato dall’alto, spiegano dal governo assicurando che l’autonomia universitaria è un pilastro che non sarà toccato. Né si vuole restringere a priori l’accesso dei nostri ricercatori alle università straniere, anzi. Resta l’obiettivo, si legge nelle note interne del Mur, di «salvaguardare l’integrità accademica e della ricerca in Italia». Come ha chiesto il G7 Ricerca a guida italiana che si riunirà con una sessione ad hoc a dicembre. Il dossier era finito sul tavolo di Palazzo Chigi già a inizio estate. Quando i nostri 007 hanno passato ai raggi X le aziende e le università cinesi che avrebbero firmato partnership con le controparti italiane durante la visita della premier Giorgia Meloni di fine luglio.
IL FARO SULLE PMI
Di sicurezza delle patrie tecnologie si torna a parlare molto in questo periodo ai piani alti del governo. Una settimana fa, durante il Cdm, è stato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ad accendere un faro sulle tante piccole aziende e start-up, magari create da ricercatori universitari, nel mirino di grandi gruppi di Stato stranieri, cinesi e non solo. Tecnologie a volte molto sensibili, “dual-use”, come droni e microchip, da tutelare con i “poteri speciali” del golden power. E magari con la creazione di una “filiera” sotto la regia di Cassa Depositi e Prestiti, con la previsione di interventi sul capitale delle pmi più esposte. Si vedrà. Intanto il governo prova a risolvere il problema alla radice.
Francesco Bechis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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