L’atteso negoziato tra Stati Uniti e Cina ha preso il via a Ginevra, in Svizzera. Dopo le aperture di Donald Trump, anche Pechino ha inviato segnali di disponibilità. «Il contatto stabilito in Svizzera rappresenta un passo importante per promuovere la risoluzione della controversia», ha scritto in un commento l’agenzia di stampa statale cinese Xinhua. La risoluzione definitiva del problema, ha aggiunto l’agenzia, «richiede sufficiente pazienza e determinazione strategica, e il giusto sostegno da parte della comunità internazionale. La base fondamentale affinché la Cina possa avere un dialogo paritario con gli Stati Uniti con un atteggiamento fiducioso e aperto risiede nella forza e nella resilienza dell’economia cinese». Inoltre, «eventuali shock esterni non possono alterare i fondamenti della stabilità economica cinese, i suoi numerosi vantaggi, la sua forte resilienza e il suo grande potenziale, né possono alterare la solidità dei suoi progressi nello sviluppo di alta qualità». I negoziati di Ginevra sono iniziati ieri alle 10 ora locale e proseguiranno anche per tutta la giornata di oggi. I dazi imposti a Pechino dall’inizio dell’anno ammontano attualmente al 145%, con dazi cumulativi su alcune merci che raggiungono un impressionante 245%. Per rappresaglia, la Cina ha imposto dazi del 125% sulle merci statunitensi, consolidando quello che è di fatto un embargo commerciale tra le due maggiori economie mondiali. Alla vigilia dei colloqui Trump ha fatto capire che avrebbe potuto abbassare le tariffe sulle importazioni cinesi, affermando sui social media che «un dazio dell’80% sulla Cina sembra la scelta giusta!». La sua addetta stampa, Karoline Leavitt, ha poi chiarito che da parte dell’America non ci sarebbe stata nessuna apertura unilaterale, aggiungendo che anche la Cina avrebbe dovuto fare delle concessioni.
Il fronte dei dazi ha anche un altro effetto collaterale: il ritorno dei falchi in Bce. Ieri è stata il membro tedesco del board di Francoforte, Isabel Schnabel, a rompere gli indugi. Le guerre commerciali globali, secondo la banchiera tedesca, minacciano di far salire l’inflazione nell’Eurozona, limitando lo spazio per ulteriori tagli dei tassi di interesse. Secondo Schnabel sarebbe importante «mantenere una mano ferma e tenere i tassi vicini ai livelli attuali. Esistono rischi», ha detto, «che un aumento duraturo e significativo dei dazi rafforzi le pressioni al rialzo sull’inflazione di fondo derivanti da una maggiore spesa fiscale nel medio termine». L’Unione Europea potrebbe dover far fronte a un’imposta del 20% su tutte le sue esportazioni verso gli Stati Uniti. Ma è anche vero il contrario. Vale a dire che l’inflazione potrebbe ridursi, perché la guerra commerciale potrebbe ridurre la domanda di beni riducendo la spinta sui prezzi. Non solo, nel caso dell’Europa ci potrebbe essere un altro effetto deflazionistico derivante dalla chiusura di fatto degli scambi tra Stati Uniti e Cina, con il rischio di un dirottamento massiccio di merci cinesi a basso costo verso il Vecchio Continente.
IL DISCORSO
Il discorso del membro tedesco della Bce guarda alle mosse di giugno della Banca centrale, quando molti analisti si attendono un nuovo taglio dei tassi che porti il valore di riferimento al 2 per cento. Schnabel, invece, ritiene che Francoforte si debba fermare. «Mantenendo i tassi di interesse vicini ai livelli attuali», ha spiegato «possiamo essere certi che la politica monetaria non sta né frenando eccessivamente la crescita e l’occupazione, né la sta stimolando. Ci troviamo quindi», ha proseguito Schnabel, «in una buona posizione per valutare la probabile evoluzione futura dell’economia e per intervenire qualora si concretizzino rischi che minacciano la stabilità dei prezzi».La partita che si è iniziata a giocare a Francoforte all’interno della Bce va al di là delle mosse sui tassi di giugno. Il 6 e 7 maggio scorso i banchieri centrali si sono riuniti informalmente per iniziare a discutere della revisione strategica. Un processo che serve ad aggiornare la politica monetaria in base all’esperienza maturata negli anni precedenti. In quel contesto, Schnabel si è espressa per mettere dei limiti all’uso dello strumento degli acquisti dei titoli di Stato. L’idea insomma, sarebbe di superare quelle politiche usate negli anni della crisi dell’euro e della deflazione.
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