La spinta al concordato biennale per le Partite Iva potrebbe arrivare anche da una chiusura dei conti passati degli autonomi con il Fisco. Un “ravvedimento” con sanzioni ridottissime sui maggiori redditi non dichiarati tra il 2018 e il 2023, i cinque anni precedenti all’avvio del concordato e che, teoricamente, sono ancora accertabili dall’Agenzia delle Entrate. E con unos conto del 30% sul periodo della pandemia, il 2020 e 2021. La proposta è contenuta in alcuni emendamenti gemelli presentati al decreto omnibus in discussione al Senato. Uno di questi, il numero 2.0.3, porta la firma di tre esponenti dei principali partiti della maggioranza: Fausto Orsomarso di Fratelli d’Italia, Massimo Garavaglia della Lega e Dario Damiani di Forza Italia. Il relatore del provvedimento, Giorgio Salvitti, ha già fatto sapere nei giorni scorsi che qualsiasi misura per agevolare il successo del concordato biennale preventivo sarebbe stata la «benvenuta». Ma come funzionerebbe questo “ravvedimento”. I commercianti e gli autonomi che entro il 31 ottobre di quest’anno aderiranno al concordato biennale proposto dal Fisco, potranno far emergere i maggiori redditi non dichiarati al Fisco nel quinquennio precedente, quello che va dal 2018 al 2023.
Sui questi nuovi redditi dichiarati, pagherebbero una “flat tax”, una tassa piatta che varia a seconda del voto che hanno nelle pagelle fiscali, i cosiddetti Isa, gli indicatori di affidabilità.Per chi ha un voto alto, tra 8 e 10, il prelievo per sanare il pregresso sarà soltanto del 10 per cento. Per chi ha un voto tra 6 e 8, il prelievo sale al 12 per cento. Per le Partite Iva considerate meno affidabili, quelle con voti sotto la sufficienza, la flat tax per sanare i redditi pregressi salirebbe al 15 per cento. L’emendamento prevede che per aderire alla sanatoria, le somme vadano versate entro marzo del 2025. Ma sarà possibile avere anche una dilazione in 24 mesi pagando un interesse del 2 per cento l’anno.
IL MECCANISMO
Il ravvedimento, spiega ancora la norma, non si perfeziona se la domanda arriva dopo che l’amministrazione fiscale o la Guardia di finanza hanno già contestato il mancato versamento delle tasse. Le Partite Iva che faranno emergere i loro redditi, non potranno essere accertate o subire ispezioni da parte del Fisco per gli anni coperti. Si tratta in pratica di una replica di quanto già previsto per l’adesione al concordato biennale. Solo che, on questo caso, gli anni coperti dagli accertamenti sono il 2024 e il 2025, mentre nel caso del ravvedimento sono i cinque precedenti. Dall’altro lato però, saranno stabilite sanzioni più penalizzanti per chi invece non aderisce o decade dal concordato.
LA CAROTA
Bisognerà capire ora, se questa eventuale nuova “carota” basterà a spingere le adesioni al concordato che, secondo diversi osservatori, stavano segnando il passo. Già nei mesi scorsi il governo aveva deciso di rivedere la tassazione proposta a commercianti e professionisti per convincerli ad aderire, portandola in un range del 10-15 per cento a seconda degli indici di affidabilità fiscale. Palazzo Chigi e il Tesoro hanno affidato al gettito del concordato buona parte delle speranze di un nuovo intervento sull’Irpef, questa volta a vantaggio dei redditi medi. L’intenzione è di procedere con una riduzione della seconda aliquota portandola dal 35 al 33 per cento e, contemporaneamente, facendo salire fino a 60 mila euro lo scaglione di reddito al quale questa aliquota si applica. Si tratta di una misura il cui costo oscilla tra i 2,5 e i 4 miliardi di euro. Soldi che dovrebbero arrivare proprio dal concordato biennale con le Partite Iva, in un ideale trasferimento di risorse dagli autonomi ai dipendenti. Per questo il successo della misura fortemente voluta dal vice ministro dell’Economia Maurizio Leo è considerato fondamentale. Bisognerà dunque attendere i dati definitivi del concordato a fine ottobre prima di decidere le misure sull’Irpef per la classe media che, dunque, potrebbero trovare spazio solo nella fase emendativa della manovra.
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