«Sorpresa, rabbia e un po’ di incazz…». Non ci sta, Matteo Salvini. E con lui, a protestare, c’è mezzo governo. Da Giorgia Meloni, che parla di «surreale accanimento» e invoca la necessità di «riformare la giustizia per eliminare le storture», al Guardasigilli Carlo Nordio che avverte: «Nei Paesi civili non si impugnano le assoluzioni». Si riapre, il caso Open Arms. Con un ricorso in Cassazione da parte dei pm di Palermo contro l’assoluzione del leader della Lega, stabilita sette mesi fa dal tribunale del capoluogo siciliano. La vicenda risale all’estate 2019, quando l’allora ministro dell’Interno Salvini negò l’approdo a Lampedusa della nave della Ong Mediterranea con 147 migranti a bordo. Uno stop che per i pm palermitani è da considerare sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio, reati per i quali il vicepremier è finito a processo per più di tre anni. Poi, lo scorso dicembre, l’assoluzione. Contro quella decisione ieri è arrivato il ricorso «per saltum» della procura di Palermo: direttamente in Cassazione, senza passare per la corte d’appello. Mossa inusuale, dettata dalla convinzione dei pm che la decisione sul caso sia stata viziata da un’errata interpretazione della legge. Un errore di diritto che ora si chiede alla suprema corte di correggere.
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LE REAZIONI
La mossa, inevitabilmente, esplode come una bomba sul centrodestra. E innesca quello che appare come un nuovo capitolo del cortocircuito tra toghe e politica. Dura la reazione di Salvini: «Ho fatto più di trenta udienze, il tribunale mi ha assolto perché il fatto non sussiste. Evidentemente qualcuno non si rassegna, andiamo avanti. Non mi preoccupo, difendere i confini non è reato». Da governo e maggioranza è una levata di scudi generale. Interviene il titolare del Viminale Matteo Piantedosi, che di Salvini fu capo di gabinetto: «Dispiacere, mi ritengo imputabile anche io». Passa meno di un’ora e anche Giorgia Meloni si fa sentire, via social. Con una difesa senza se e senza ma – come già in passato su questa vicenda – del suo ministro dei Trasporti. «È surreale questo accanimento», scrive la premier, «dopo un fallimentare processo di tre anni – a un ministro che voleva far rispettare la legge – concluso con un’assoluzione piena». Poi, una stoccata ai pm: «Mi chiedo cosa pensino gli italiani di tutte queste energie e risorse spese così, mentre migliaia di cittadini onesti attendono giustizia». Ed ecco, immediato sotto al post, il «grazie» di Salvini. «Sono convinto che difendere l’Italia e i suoi confini non sia un reato», aggiunge il segretario leghista. «Altri mesi o anni di processi? Vado avanti, a testa alta, con la certezza di aver fatto il mio dovere». Ma quella via social non è l’unica reazione che la premier fa filtrare. Qualche ora più tardi, ecco che Meloni invia un videomessaggio alla Federazione dei magistrati onorari. E pronuncia parole che è difficile non collegare con l’irritazione per la mossa dei pm palermitani. La premier sottolinea il lavoro del governo «per riformare la giustizia italiana, per mettere fine alle storture a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni», avverte. «L’Italia merita una giustizia più giusta, più vicina ai cittadini e alle imprese».
«ACCANIMENTO»
La Lega, intanto, serra le fila, con una batteria di dichiarazioni a sostegno del leader. Da FdI arriva pure la solidarietà di Arianna Meloni, responsabile della segreteria di via della Scrofa: «Andare avanti a lavorare per il bene dell’Italia è l’unica risposta possibile da dare a chi non riesce ad accettare la sua sconfitta. Forza Matteo!». E anche Antonio Tajani si dice «solidale» col leghista, nonostante tra i due anche ieri non siano mancati gli attriti, di nuovo sul capitolo della riforma della cittadinanza. «Abbiamo sempre detto che in caso di assoluzione l’accusa non dovrebbe presentare ricorso. Nel caso di Open Arms si tratta di un accanimento nei confronti di un ministro che ha fatto il proprio dovere», mette a verbale il leader di Forza Italia. Il Colle, che in passato non ha lesinato appelli per evitare scontri tra magistratura e politica, osserva – attento – in silenzio. Così come perlopiù silenti rimangono i leader di opposizione. Con l’eccezione di Riccardo Magi di +Europa: «Da Meloni, Nordio e il governo un inaudito attacco a un potere indipendente dello Stato con tanto di intimidazioni – è l’affondo – Questo è surreale, questo è da Paese incivile».
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