Non è forse il ruolo di queenmaker che aveva immaginato qualche mese fa quando i partiti conservatori speravano di (s)travolgere l’Europa con una maggioranza di destra-destra. Ma alla fine Giorgia Meloni, quella parte se l’è in qualche modo ritagliata lo stesso. L’infruttuosa riunione di Bruxelles di lunedì, ha di fatto dimostrato come la partita sui top job europei ruoti in buona parte attorno ad un quesito che fa più o meno così: Meloni sì o Meloni no? Se è infatti vero che Ursula von der Leyen può formalmente ottenere il bis anche senza il sostegno dei meloniani di Ecr, lo è anche che una maggioranza di questo tipo non terrebbe conto dello spostamento verso destra sancito dall’ultima tornata elettorale. Ed è su questo che si sono spaccati i popolari, dividendosi tra coloro che brigano con i centristi di Renew e i socialisti per ricreare lo stesso assetto attuale, e coloro che invece vorrebbero che la bilancia pendesse verso destra. Sono due anime divise, incarnate dal polacco Donald Tusk (negoziatore del Ppe al tavolo delle nomine, e molto vicino ad Emmanuel Macron in questa fase) e dall’asse stabilito tra il capogruppo Manfred Weber e il vicepremier italiano Antonio Tajani. Due fazioni che alla riunione dei popolari di lunedì che ha anticipato il confronto tra i leader, ha finito con il confrontarsi con toni piuttosto aspri. L’accusa principale riguarda la fuga in avanti di Tusk e dei suoi che hanno provato a far passare per approvato il pacchetto di nomine che comprende anche il bis di Roberta Metsola e il via libera al socialista Antonio Costa e alla liberale macroniana Kaja Kallas, quando in realtà non aveva ancora ricevuto il definitivo ok del partito.
GLI INGRESSI
E proprio su quest’ultima potrebbe concentrarsi ora la risposta di Meloni. Renew ha rivendicato la carica di alto rappresentante per la politica estera Ue in qualità di terzo partito per numero di seggi ottenuti (80). Tra oggi e domani però, come anticipato dal Messaggero la scorsa settimana, i conservatori formalizzeranno una decina di nuovi ingressi all’interno del gruppo. Dopo i 4 già annunciati tra ciprioti, lettoni e croati, ora è il turno dei francesi di Reconquête, i romeni di Aur e alcuni indipendenti irlandesi. Un’infornata che porterà dai 77 attuali a 84 gli eurodeputati conservatori a Strasburgo. Difficile immaginare che a quel punto Ecr (in cui c’è chi sostiene che von der Leyen potrebbe non essere più un’opzione) non alzi ulteriormente i toni contestando il metodo con cui è stato chiuso il pacchetto di nomine discusso lunedì a Bruxelles.
Si mette cioè in discussione l’assenza di un dialogo preventivo. Un po’ come fatto da Tajani durante la riunione del Ppe in un intervento che, secondo una fonte europea, ha portato all’uscita con cui il presidente croato Andrej Plenković ha proposto ai socialisti di spartirsi per due anni e mezzo la carica di Presidente del Consiglio europeo. Una dichiarazione che, in realtà, era un esplicito tentativo di buttare la palla in tribuna, rimandando la partita.
Una versione che, nel day after dello scontro, è sostanzialmente confermata da Weber: «Le persone vogliono vedere il cambiamento, un altro volto dell’Europa — ha spiegato — è un’Europa di centrodestra per la quale hanno votato. Liberali e Verdi escono da perdenti dalle elezioni europee e quindi dobbiamo assicurarci che la direzione politica dei prossimi cinque anni sia un’Europa di centrodestra e che la scelta dei» top jobs «rifletta questo». In linea con Tajani, che cannoneggia il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il francese Macron: «Francia e Germania non impongano le loro scelte, hanno perso le elezioni» ha detto ieri alla Farnesina, a margine della cerimonia di inaugurazione dell’opera “Cellotex Rivoli, 14” di Alberto Burri. E ancora: «Non si deve imporre la legge del perdente. Il Ppe ha vinto le elezioni e bisogna tenere conto del risultato elettorale».
Contrapposizioni e recriminazioni che poi sono esplose all’interno della cena informale in cui Meloni ha rappresentato ai Ventisette leader le sue perplessità, criticando duramente il tentativo di un accordo a tre tra Ppe, socialisti e liberali. A quanto si apprende da fonti italiane a Bruxelles, Meloni si è rivolta direttamente a Macron, Scholz e Tusk con un’aspra invettiva in cui li ha accusati di fare giochi di potere che, al massimo, possono essere «un buon punto di partenza» per le discussioni, non l’approdo finale. Per di più «mancando di rispetto» agli altri leader, costretti ad attendere la conclusione di un vertice ristretto assieme ai presidenti di Paesi Bassi, Grecia e Spagna. Tant’è che almeno 12/13 Paesi si sarebbero mostrati «scioccati» dal trattamento, mostrando solidarietà alla premier.
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