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Nuove tecnologie, da oggi puoi chattare con il tuo io dal futuro: come funziona ei rischi


Consigli dal futuro . Una chiacchierata con il nostro “io” più anziano per capire come potrebbe essere tra 10, 20, trent’anni.

Non serve una macchina del tempo perché i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (Mit) hanno sviluppato un chatbot, “Future You”, che sfrutta l’ intelligenza artificiale per simulare il nostro “io dal futuro”, con cui possiamo chiacchierare per ricevere consigli e riflettere sulle nostre scelte di vita. Per creare il software, i ricercatori sono partiti dallo sviluppo di un normale chatbot che ha posto ai partecipanti allo studio – 344 volontari tra i 18 ei 30 anni — una serie di domande su se stessi e sulle persone che attualmente giocano un ruolo chiave nella loro vita.

Ha anche chiesto informazioni sul loro background, sulle loro speranze e progetti per il futuro e sulla loro visione ideale della vita. Gli utenti hanno poi caricato una foto attuale che il software ha “invecchiato”, consentendo ai partecipanti di vedere come potrebbe apparire più in là negli anni. 

I ricordi

Filtrando tutte queste informazioni attraverso la tecnologia GPT-3.5 di OpenAI, i ricercatori sono riusciti così a creare dei chatbot personalizzati con “memorie sintetiche”. In un esempio illustrato nella ricerca, una studentessa che sperava di diventare insegnante di biologia ha chiesto al chatbot – una versione simulata di se stessa a 60 anni – qual è stato il momento più gratificante della sua carriera. Il chatbot ha affermato di essere un insegnante di biologia nella pensione di Boston e ha ricordato un episodio in cui è riuscita ad aiutare uno studente in difficoltà a migliorare i suoi voti. «È stato molto gratificante vedere il volto dello studente illuminarsi di orgoglio», ha commentato il software . L’idea parte da alcune ricerche precedenti, dove viene mostrato come i giovani che trascorrono del tempo a parlare con gli anziani spesso maturano una visione più ampia della vita e di come potrebbe svolgersi il loro futuro.

«L’obiettivo è promuovere il pensiero a lungo termine e il cambiamento del comportamento», ha detto al Guardian Pat Pataranutaporn del Mit Media Lab. «Ciò potrebbe motivare le persone a fare scelte più sagge nel presente che ottimizzino il loro benessere e i risultati a lungo termine». Attenzione però, perché «non si tratta di una profezia», si legge sul sito del Mit, quanto piuttosto di una «potenziale versione del futuro generata da un modello linguistico di grandi dimensioni». Future You è solo una delle tante applicazioni della tecnologia GPT in tema di salute mentale. Piattaforme IA come Life2vec analizzano vari fattori come reddito, lavoro e storia clinica per “prevedere” la durata della vita e spingere gli individui verso abitudini più sane. Ci sono anche IA “psicologi” come Character.ai, chatbot che ha già ricevuto oltre 90 milioni di interazioni e 3,5 milioni di utenti unici al giorno. C’è Wysa, «clinicamente testata per offrire un’esperienza equivalente a quella di un professionista umano», e c’è Earkick, che percepisce in tempo reale il nostro stato emotivo.

Pat Pataranutaporn, ricercatore del Mit Media Lab

Nel programmarlo, il suo ideatore si è ispirato alla pellicola premio Oscar Lei, che già nel 2013 aveva scandito con clinica precisione tutti i confini di un rapporto tanto intimo tra uomo e macchina. E nonostante Lei rimanga (l’abbiamo visto con chiarezza durante la presentazione del nuovo GPT-4o) il cardine della nuova campagna di marketing delle aziende che si occupano di IA, quello che la Silicon Valley però dimentica è il messaggio chiave alla base di quel film: creare legami con un’IA ultra realistica è molto più semplice e immediato rispetto alla controparte umana. E questo presenta dei rischi enormi. Sul punto i ricercatori sono sempre stati chiari: maggiore è il realismo del software, maggiore è la probabilità che gli utenti sviluppino con esso un attaccamento morboso e malsano. 

I rischi 

Nel caso di Future You, il rischio è che il chatbot – se mai dovesse essere commercializzato – possa mettere l’utente di fronte a un futuro basato su scelte che potrebbero comprometterne il presente. Ad aprile alcuni ricercatori di Google DeepMind, la divisione IA dell’azienda, hanno pubblicato un documento tecnico intitolato “L’etica degli assistenti Ai avanzati”. La tesi è che gli assistenti 9Ai progettati per agire in modo “umano” presto causeranno ogni sorta di problema, dalla disinformazione alla manipolazione dell’opinione pubblica fino a nuove forme di dipendenza tecnologica.

Sta già succedendo: gli utenti del web passano sempre più tempo a chiacchierare con i chatbot, confidandogli i loro segreti più intimi, chiedendogli consiglio su scelte di vita importanti. Al fine di consentire un’implementazione responsabile di software destinata inevitabilmente ad aumentare, sia per quantità che per realismo, ea penetrare a ogni livello del nostro tessuto sociale e industriale, i ricercatori di Google propongono allora un cambio d’approccio nel metodo usato per valutare questi sistemi: non più solo l’aspetto tecnico ma anche l’impatto sociale di un’interazione ormai sempre più intima tra uomo e algoritmo. 

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