Non voterà ma andrà alle urne in segno «di rispetto», è «fiera» del decreto sicurezza in barba alle polemiche e ai senatori seduti al centro dell’Aula di Palazzo Madama per protesta, risponde per le rime a Elio Germano e ai sui affondi contro un governo che si comporta come un “clan”: «Nel cinema lavorano solo quelli di sinistra», punge come un’ape velenosa. Giorgia Meloni alla festa del quotidiano La Verità ne ha per tutti e risponde colpo su colpo a molte delle accuse che le vengono mosse. Assicura che il governo arriverà a fine legislatura e che non ci saranno «ribaltoni», anche nel caso di una debacle alle regionali: «siamo 11 a 3, il gap non sarà recuperabile».
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La premier e il quesito sulla cittadinanza
Quando il direttore Belpietro le chiede del referendum e della decisione di recarsi al seggio senza ritirare la scheda, la presidente del Consiglio si fa trovare pronta. Come fosse un dardo al suo arco, mostra una vecchia locandina dei Ds, il partito poi confluito nel fu Ulivo e dunque nel Pd, con un NO a caratteri cubitali e sotto la scritta “non votare è un mio diritto”. «Quando non si condividono i contenuti del referendum c’è anche l’opzione dell’astensione, perché, come ci insegna un partito serio — dice ironica mostrando il cartello — non votare al referendum è un mio diritto e un diritto di tutti».
Dopo aver spiegato che lei andrà alle urne, in quel del Torrino, «perché sono il premier ed è giusto dare un segnale di rispetto», Meloni entra nel merito: «vogliono abolire leggi fatte dalla sinistra, se la cantano e se la suonano, cantano e disfano. Se erano temi così dirimenti la sinistra li poteva modificare in Parlamento invece di spendere altri 400 milioni di euro». E non è tutto. La premier affonda il coltello nelle divisioni interne ai dem: andare al seggio e non ritirare la scheda è la scelta che hanno annunciato «anche esponenti di spicco del Pd — Guerini, Picierno e altri — abbiamo gli stessi diritti o per noi sono più ristretti?». Touché. E avanti così, a muso duro. Il quesito sulla cittadinanza? «Sono contrarissima a dimezzare i tempi».
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Le reazioni
Per Schlein si tratta di un atteggiamento «vergognoso», per il M5S Meloni «è codarda e vuole sabotare i referendum», mentre Renzi le riconosce il diritto dell’astensione, «ma Meloni non si capisce che pensa». Di certo dice di esser convinta della sua squadra. La premier smentisce infatti le ricostruzioni che parlano di contrasti all’interno del governo e si dice «fiera» del lavoro dei ministri, in particolare dei vice Tajani e Salvini, che — assicura — non ha «bacchettato» come una «maestrina». E se squadra che vince non si cambia, Meloni farà «tutto quello che posso per arrivare alla fine della legislatura con questo governo». Sul dl sicurezza la sinistra «fa cinema», «sono fiera di queste norme», anzi rincara: «penso ne servano altre». A chi l’accusa di autoritarismo risponde per le rime: «quali sono le libertà che comprimiamo? La libertà di fare i borseggi o di truffare gli anziani?».
La politica estera
Sulla politica estera, Meloni respinge la visione di un’Italia «isolata». Anzi, per lei il Paese ha riconquistato un «ruolo da protagonista», senza per questo essere «junior partner», vale a dire «la ruota di scorta di Francia e Germania». Con il cancelliere Merz c’è «un buon rapporto» e con Macron — che «tra poco vedo più di mia figlia», scherza — ci sono «molte materie» su cui lavoriamo, ma pretendendo «una cooperazione tra pari». Sui dazi la premier è «positiva», un ottimismo che non vale per l’Ucraina: «i segnali non sono incoraggianti» perché la Russia non fa «passi in avanti» per la pace. Quanto al rischio di un attacco russo che si spinga oltre, travalicando i confini dell’Ue, «non ho elementi per dirlo, ma se il disegno è quello di un’espansione non c’è niente che si può escludere». Altro tema dell’agenda internazionale, la crisi in Medio Oriente. «La guerra — afferma Meloni — è stata iniziata da Hamas ed è Hamas il principale responsabile della guerra». Poi «la legittima reazione di Israele ha assunto contorni inaccettabili» e va fermata.
Replica a Elio Germano
Infine la questione dei fondi per il cinema. «Abbiamo fatto delle norme di buonsenso per impedire gli sprechi: penso non fosse serio consentire che ci fossero produzioni che prendevano contributi milionari e al botteghino facevano 10 spettatori». Gli attacchi al governo vengono mossi da «chi ha beneficiato di questi lauti contributi». Ma l’accusa di comportarsi come un clan, Meloni lo rispedisce al mittente: «Per me, quando un attore è bravo lavora, non me ne frega niente di cosa vota. È qualcun altro che non fa lavorare la gente se non vota come dicono loro, ed è questo il comportamento dei clan».
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