12.05.2025
12 Street, Rome City, Italy
Politics

Nomine Ue, Meloni alza la posta (ed evita la mina Orbán)


BRUXELLES Alla fine, a far perdere davvero la pazienza a Giorgia Meloni non è il cannoneggiamento dei socialisti e di una parte del Ppe, né l’interlocuzione complicata con gli «amici» della destra europea. A far saltare davvero i nervi alla premier è la guasconeria di Emmanuel Macron che ha confidato ai suoi di voler chiudere l’intero pacchetto dei vertici Ue entro le ore 21, in tempo per vedere l’esordio della nazionale transalpina agli Europei. Il risultato? Al calcio di inizio la cena prevista alle 18 non è neppure sul punto di cominciare. Anzi, in una pausa delle lunghe interlocuzioni che dovevano precederla, Meloni si lascia andare e spiega: «Non accettiamo accordi preconfezionati».

Von der Leyen, dalla presidente della Commissione ai vertici Ue: le tappe verso la nomina (e di costituzione del nuovo Parlamento)

Ne fa cioè una questione di metodo. Non per il nome di Ursula von der Leyen in sé ma sul pacchetto già blindato presentato ai Ventisette. Un accordo a scatola chiusa con dentro anche la conferma di Roberta Metsola a Strasburgo, la nomina al Consiglio del socialista Antonio Costa e, infine, quella dell’estone Kaja Kallas ad Alto rappresentante della politica estera. Quando i negoziati devono ancora entrare nel vivo, aggiunge: «A questo punto se ne riparla tra 10 giorni», rimandando tutto al Consiglio Ue che si terrà il 28 e il 29 giugno e che, nelle intenzioni di Macron, Olaf Scholz e degli altri leader avrebbe dovuto essere una formalità. D’altro canto per tutto il giorno i “no” «all’estrema destra» meloniana l’hanno inseguita nei bilaterali avuti i suoi alleati. Il senso della risposta della premier è quindi più o meno: se non sono ben accetta portate in aula la nomina. Formalmente non è infatti necessaria l’unanimità dei consensi da parte dei leader per deliberare un incarico (ad esempio Jean-Claude Juncker nel 2014 non fu sostenuto dal britannico James Cameron), ma si può procedere a maggioranza qualificata. Il nodo è però all’Europarlamento, con i franchi tiratori che già cinque anni fa stavano per impallinare Ursula, costretta infine a ricorrere al sostegno del PiS polacco e del M5s.

Una sorta di guanto di sfida lanciato dalla premier, schiacciata da un lato dalla sensazione di essere fuori dai giochi per le nomine nonostante i ripetuti appelli a riconoscere il «giusto peso» dell’Italia lanciati, e dall’altro dall’agitazione dei suoi partner conservatori.

IL TIMORE
«Dobbiamo calamitare pezzi, non il contrario» spiega chi tra i meloniani si occupa del fronte conservatore. Questo del resto è il grande timore della premier: immolare quanto costruito con Ecr sull’altare del sostegno a von der Leyen (che intanto, secondo il portale Politico Europe, avrebbe favorito Meloni ritardando la pubblicazione di un report che attesterebbe lo scarso rispetto della libertà di stampa in Italia). Il caso potenzialmente più eclatante è quello dei polacchi del PiS che, guidati dall’ex premier Mateusz Morawiecki e da sempre grandi sostenitori dell’idea di un «supergruppo delle destre», potrebbero spaccarsi e muoversi verso altri lidi, inaugurando delle pericolosissime porte girevoli, magari verso un nascente ulteriore gruppo di matrice lepeniana. Strategie e giochi di posizione su cui Meloni ha preso tempo. «Siamo tutti amici e lo resteremo» garantiscono da FdI. Ai suoi interlocutori di parte la premier ha ricordato come l’obiettivo resti federare le destre. Non ora, non ci sono i numeri. Ma più in là, entro il 2027, magari mettendo in discussione l’alternanza alla presidenza del Parlamento Ue.

Un progetto ambizioso che passa dal ripulire l’immagine di quelli che affianco alla premier chiamano i «cordonati». Quei partiti oggi racchiusi da un cordone sanitario, come Le Pen o come l’ungherese Fidesz. E infatti proprio Orbàn è stato il secondo ospite di Meloni. L’ungherese, che dice «fluida» la situazione, è oggi senza collocazione politica e ha chiesto nuovamente alla premier di entrare in Ecr. Il «no» di Meloni è stato però, ancora una volta secco. Eppure, da primo ministro, Viktor Orbàn ha diritto di veto al Consiglio. E quindi c’è bisogno che qualcuno ci parli, specie ora che (dal 1° luglio) inizia il semestre europeo. Un punto di forza per Meloni che ha in mente di valorizzare. Più in là, però. Prima c’è bisogno di mandare giù il boccone amaro della Commissione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Leave feedback about this

  • Quality
  • Price
  • Service
[an error occurred while processing the directive]