«Aumentare e accelerare i rimpatri» e lavorare a «soluzioni nuove per prevenire e contrastare la migrazione irregolare» sono le parole d’ordine che alla fine di una lunga trattativa mettono d’accordo tutti i leader dei 27 Paesi Ue. Al summit conclusosi nella tarda serata di ieri a Bruxelles sono tornati ad adottare, dopo il nulla di fatto degli scorsi vertici, un ricco testo di conclusioni in materia di flussi, che dà anche un assist alla prossima Commissione presieduta da Ursula von der Leyen.
LA FASE DUE
L’esecutivo è solo ai nastri di partenza, in attesa delle audizioni parlamentari, ma è già stato incaricato dai capi di Stato e di governo di «presentare urgentemente una nuova proposta legislativa» sulle espulsioni, cioè una riforma della direttiva rimpatri, che ha più di 15 anni. Tra gli impegni, poi, oltre ai partenariati con i Paesi di origine e transito, sull’esempio delle intese con la Tunisia, l’Egitto e la Mauritania, anche la valutazione di quelle che un numero crescente di Paesi — sono almeno una dozzina, gli stessi che ieri la premier Giorgia Meloni ha riunito insieme ai colleghi olandese e danese in un pre-summit dedicato al tema — chiamano “soluzioni innovative”.
La formula è volutamente generica e porta con sé il richiamo al «rispetto del diritto dell’Ue e internazionale», poiché sul punto i governi Ue continuano a duellare. Ma rimane il riferimento a modalità che lasciano la porta aperta ai centri extra-Ue appena aperti dall’Italia in Albania, certo, ma pure l’ipotesi di hub ad hoc per i rimpatri da localizzare anch’essi fuori dal territorio dell’Unione. Sempre nei Balcani, ad esempio, visto che nella regione si può brandire la carota degli incentivi all’adesione all’Ue, o direttamente in Africa, sfruttando la leva dei fondi di cooperazione allo sviluppo.
Congedato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che a Bruxelles ha illustrato i termini del suo “piano per la vittoria” e chiesto più aiuti militari in tempi brevi, e mentre dall’intelligence israeliana arrivavano gli aggiornamenti sull’uccisione del leader di Hamas Yahya Sinwar, i leader Ue hanno messo da parte il ricco capitolo esteri per tornare a concentrarsi su un dossier, la migrazione, ad altissima tensione interna. Viste da lontano, le tante differenze concrete su cui si sono scontrati nella messa a punto di un testo che trovasse tutti d’accordo lasciano il posto a quella che il primo ministro olandese Dick Schoof ha definito un’«atmosfera diversa in Europa» sui flussi migratori, anticipando un linguaggio che userà a sera anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Tutti d’accordo sul rafforzamento della linea dura. Con l’Italia convinta di poter offrire a un modello: sul memorandum “innovativo” con l’Albania, certo, ma pure sul fronte dei rimpatri gestiti con le organizzazioni internazionali sotto l’ombrello delle Nazioni Unite come Oim e Unhcr.
L’EFFETTO DOMINO
A farsene interprete in concreto è stato lo stesso Schoof: il capo del governo di destra dei Paesi Bassi ha detto di aver messo in pista i suoi tecnici dell’Interno, al lavoro su un’intesa con l’Uganda. A differenza dei centri di Gadjer e Shiangjin, negli ipotetici hotspot ugandesi verrebbero trasferiti soltanto i richiedenti asilo africani la cui domanda viene rigettata dalle autorità olandesi. Uno schema che la Danimarca della premier socialista Mette Frederiksen vorrebbe estendere al Kosovo. Se Copenaghen tende la mano all’Italia, nel pur sparuto campo di leader socialisti ci pensano altri due pesi massimi come Scholz e il premier spagnolo Pedro Sánchez a raggelare Roma sul protocollo con l’Albania.
Queste formule, ha detto Sánchez «non affrontano i problemi e ne creano altri; siamo per una visione più ampia, a favore della collaborazione con i Paesi di origine e della migrazione regolare»; mentre per Scholz «se guardiamo ai numeri, queste soluzioni non andrebbero bene per un Paese grande per la Germania». La Ue, è la tesi di Berlino, ha semmai bisogno di «più rimpatri».
Se Cipro ha portato l’idea di sanzionare le compagnie aeree che applicano prezzi troppo bassi ai biglietti di sola andata per i migranti, è stata la Polonia a prendersi a lungo la scena, con la minaccia di bloccare ancora una volta l’intero testo delle conclusioni sulla migrazione. Varsavia, che ha annunciato la sospensione temporanea della concessione diritto d’asilo nel Paese per via degli arrivi dalla Bielorussia, ha osteggiato il riferimento al Patto sulla migrazione, alla fine rimosso al pari di ogni richiamo a un’applicazione anticipata della “responsabilità” sui movimenti secondari osteggiata da Italia e Stati del sud. Il premier Donald Tusk ha insistito e ottenuto, invece, sostegno e «solidarietà» alla Polonia per le minacce ibride, cioè la strumentalizzazione dei flussi migratori al confine da parte di Minsk, con la regia di Mosca.
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