27.10.2025
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Politics

niente soldati italiani, spinta alle sanzioni a Putin


Una pace «giusta» che non sia «frutto della sopraffazione». E in cui valga su tutte una regola aurea che Putin vorrebbe cancellare con un colpo di bianchetto: «nessuna decisione sull’Ucraina può essere presa senza l’Ucraina e nessuna decisione sulla sicurezza europea può essere presa senza l’Europa». Giorgia Meloni puntella la posizione del governo italiano in vista del Consiglio europeo che la vedrà oggi a Bruxelles, dove è atterrata a tarda notte. Dopo giorni in cui il Vecchio Continente è tornato a trattenere il fiato per via del nuovo scontro Trump-Zelensky, un remake, seppur dai toni più contenuti, dell’incontro incendiario del febbraio scorso nello studio ovale della White House. Nel suo intervento al Senato in vista del vertice Ue, Meloni snocciola un numero che la dice lunga sulla necessità di fermare la guerra congelando la linea del fronte, un must irrinunciabile per gli europei. Putin, rimarca la premier, ha «gettato la maschera», mostrando di non volere la pace. Per fermare le bombe e il drammatico bollettino di morti e feriti esige l’impossibile. Ground for peace. Ovvero territorio ucraino a piene mani in cambio di una tregua. Ed ecco il numero X in grado di smontare la propaganda del Cremlino e far cadere come un castello di carte le pretese di Putin: «Non dobbiamo dimenticare che, da novembre del 2022 ad oggi, Mosca è riuscita a conquistare appena l’1% del territorio ucraino — sottolinea Meloni — peraltro a costo di grandi sacrifici in termini di uomini e mezzi». È una ragione in più per non arretrare di un millimetro e continuare a lavorare «insieme agli Stati Uniti per definire garanzie di sicurezza robuste, credibili, efficaci nella loro capacità di deterrenza, per Kiev e per tutti noi». Per arrivare a piantare bandiera bianca «ciascuna Nazione contribuirà nella misura in cui potrà e riterrà necessario. L’Italia ha già chiarito — torna a ribadire la premier, con Salvini che annuisce al suo fianco — che non prevede l’invio di propri soldati in territorio ucraino». Una puntualizzazione, la sua, che arriva con un affondo al fronte progressista, che, proprio per via delle divisioni sul Kiev, è arrivato alla prova dell’Aula in ordine sparso, ciascuno con la propria risoluzione. Sui boots on the ground «devo prendere atto del fatto che neanche su questo, nel cosiddetto campo largo, esiste una posizione unitaria, visto che IV è favorevole all’invio delle truppe», se la ride la presidente del Consiglio. Touché.

Ma anche in Europa non mancano le distanze. Non tanto sul 19esimo pacchetto di sanzioni su cui oggi arriverà il disco verde dell’Ue, con l’unica incognita della Slovacchia per via delle forniture di gas. A dividere è soprattutto l’uso degli asset russi congelati nei forzieri di Bruxelles, Londra e Ginevra (il grosso è in Belgio, solo quote minori risultano depositate in Gran Bretagna e Svizzera).

IL PRESSING DI MERZ

Oltre ai dubbi che attraversano diverse cancellerie europee sui contraccolpi giuridici — Roma compresa, come ammesso dalla stessa premier in Aula — su un’azione che per molti ha il sapore di un esproprio, c’è un braccio di ferro in corso sulla destinazione dei frozen assets, semmai si giungerà a un accordo per il loro uso. Il condizionale è d’obbligo visto che si procede a rilento oltre che a tentoni. Berlino, con il cancelliere Friedrich Merz in pressing per sghiacciare il tesoretto, spinge per un impiego esclusivamente militare che consenta a Kiev di far fronte ad altri due anni di guerra. Altri Paesi, tra cui la stessa Italia e l’Irlanda, vorrebbero che le risorse venissero impiegate anche per sostenere la macchina amministrativa ucraina, ovvero per tenere in piedi lo Stato. E non è tutto. C’è anche un problema di spartizione delle responsabilità, o meglio dei costi, se Mosca dovesse decidere di adire le vie legali. L’opzione sul tavolo — anche se oggi si arriverà solo a dare mandato alla Commissione affinché elabori una proposta ad hoc — prevede che eventuali spese vengano ripartite sulla base del reddito nazionale lordo di ciascun paese: una soluzione vista con fumo negli occhi dai paesi più grandi, Roma compresa. Altro aspetto su cui si dovrà ragionare è la possibilità di tenere congelati i beni russi fino al giorno in cui si arriverà alla pace. Senza dover votare ogni sei mesi per continuare a tenerli in ghiacciaia. Ma per farlo serve l’unanimità ed è difficile, se non impossibile, ottenere il voto favorevole di Budapest, con Orbàn che già mostra il pollice verso.

La difesa è un altro dossier che in Ue fa discutere, soprattutto per le modalità con cui far la spesa. Con Parigi che spinge per il buy european, che, non a caso, finirebbe per ingrossare le casse francesi. E altri Paesi — l’Italia in buona compagnia di polacchi, baltici e olandesi — che esigono maggiore libertà d’azione, acquistando con i frozen assets “le armi per Kiev dove sono”. Negli Usa, anzitutto. Non solo per abbonire gli umori altalenanti di Trump, ma anche perché, nel nostro caso, l’ industria nazionale dipende dalla componentistica americana.

A scaldare gli animi di un summit che si preannuncia effervescente ci mette del suo anche il dossier clima, con Roma pronta a battagliare per la neutralità tecnologica e il biofuel, business caro all’Eni. Meloni chiede un cambio di passo sulle politiche green: stop ai «salti di gioia» di «concorrenti strategici globali», Cina in testa, «di fronte alle follie verdi che ci siamo autoimposti».


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